Per il riconoscimento dell'assegno divorzile non è sufficiente la sproporzione reddituale tra i coniugi.
Cass. civ. Sez. VI - 1, Ord., (ud. 15-02-2022) 12-04-2022, n. 11817
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA CIVILE
SOTTOSEZIONE 1
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. PARISE Clotilde - Presidente -
Dott. IOFRIDA Giulia - rel. Consigliere -
Dott. LAMORGESE Antonio Pietro - Consigliere -
Dott. SCALIA Laura - Consigliere -
Dott. CARADONNA Lunella - Consigliere -
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 32288/2020, proposto da:
T.R., elettivamente domiciliato in Roma presso la CANCELLERIA civile della CORTE SUPREMA di CASSAZIONE e rappresentato e difeso dall'avvocato Carla Telatin, in forza di procura speciale in atti;
- ricorrente -
contro
B.G., elettivamente domiciliata in Roma Via Ulpiano n. 29, presso lo studio dell'avvocato Prof. Luciano Infelisi, rappresentato e difeso dall'avvocato Giuseppe Morgia, in forza di procura speciale in atti;
- controricorrente -
avverso n. 2551/2020, della Corte d'appello di Venezia, depositata il 1/10/2020;
udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 15/02/2022,dal consigliere IOFRIDA GIULIA.
Svolgimento del processo
La Corte d'appello di Venezia, con sentenza n. 2551/2020, ha respinto il gravame di T.R., nei confronti dell'ex coniuge divorziato B.G., avverso la sentenza del Tribunale di Vicenza, che aveva respinto la domanda del primo di riconoscimento di un assegno divorzile, a carico della B., essendo entrambe le parti autosufficienti economicamente.
La Corte d'appello ha ritenuto che non fosse mutata la condizione economico-patrimoniale degli ex coniugi, da definirsi paritaria, atteso che il T. risultava percettore di due pensioni, derivanti da malattia che gli aveva impedito di proseguire nell'attività di agente di commercio, mentre la B., "per quanto prodotto in atti", era mantenuta dai due figli maggiorenni ed autosufficienti economicamente.
Avverso detta sentenza, T.R. propone ricorso per cassazione, notificato il 1/12/2020, affidato a tre motivi, nei confronti di B.G. (che resiste con controricorso notificato il 29/12/2020). Entrambe le parti hanno depositato memoria.
Motivi della decisione
1. Il ricorrente lamenta: a) con il primo motivo, la violazione e falsa applicazione, ex art. 360 c.p.c., n. 3, degli artt. 337-bis e 337-ter c.p.c., e della L. n. 898 del 1970, art. 5, comma 9, sotto il profilo delle indagini di polizia tributaria non disposte, malgrado dubbi sulla veridicità delle dichiarazioni della B. sulla propria capacità reddituale; b) con il secondo motivo, l'omesso esame, ex art. 360 c.p.c., n. 5, di fatto decisivo rappresentato dalla documentazione depositata in appello e dal fascicolo di primo grado, dai quali emergeva che il T. aveva subito un pignoramento presso terzi per spese legali, dovute in realtà dalla B., nonchè la condotta di quest'ultima di inadempimento agli obblighi assunti verso il coniuge in sede di separazione giudiziale e di occultamento della propria effettiva capacità economica; c) con il terzo motivo, "l'insufficiente motivazione" su fatto controverso, ex art. 360 c.p.c., n. 5, per non avere "il Tribunale" disposto il deposito delle dichiarazioni dei redditi dell'ultimo triennio.
2. Le prime due censure, da trattare unitariamente in quanto volte a censurare carenze istruttorie, sono inammissibili.
Nella specie, in primo grado, si erano ritenute superflue le indagini di polizia tributaria alla luce delle risultanze documentali, da cui non emergeva una sperequazione reddituale tra gli ex coniugi tale da giustificare un assegno mensile a favore dell'ex marito.
La Corte d'appello nulla ha detto in punto di indagini tributarie o altra istruttoria sui redditi dei coniugi, ma, esaminata la documentazione in atti, ha rilevato che, ai fini della componente assistenziale dell'assegno divorzile, non fosse dimostrata la mancanza in capo al richiedente di redditi adeguati, risultando lo stesso percettore di due pensioni di invalidità; inoltre, neppure risultava una sperequazione delle posizioni economiche dei due coniugi.
Il ricorrente, non cogliendo la ratio decidendi, si limita ad invocare risultanze documentali che dimostrerebbero come la B. abbia cercato, in relazione ad immobili acquisiti per eredità materna, di "occultare la propria capacità economica", indicando il contenuto parziale di alcuni documenti (pignoramento), precisando di averli depositati alla prima udienza d'appello ma non indicando espressamente che siano decisivi in ordine al riconoscimento dell'assegno divorzile.
Ora, come già chiarito da questa Corte (Cass. n. 23675 del 2013; Cass. n. 15430 del 2018; Cass. n. 20694 del 2018) "qualora con il ricorso per cassazione siano prospettate questioni di cui non vi sia cenno nella sentenza impugnata, è onere della parte ricorrente, al fine di evitarne una statuizione di inammissibilità per novità della censura, non solo di allegare l'avvenuta loro deduzione innanzi al giudice di merito, ma anche, in ossequio al principio di autosufficienza del ricorso stesso, di indicare in quale specifico atto del giudizio precedente lo abbia fatto, onde dar modo alla Suprema Corte di controllare "ex actis" la veridicità di tale asserzione prima di esaminare il merito della suddetta questione".
Inoltre, il ricorso è carente proprio sotto il profilo dei presupposti dell'assegno divorzile richiesto, che ha una componente non solo assistenziale ma anche perequativo-compensativa, alla luce di quanto da ultimo chiarito dalle Sezioni Unite con la recente sentenza n. 18287 del 2018. Invero, nulla si dice sul contributo familiare del marito, sulla durata e sul matrimonio, mentre la sproporzione reddituale non è sufficiente, da sola, ai fini del riconoscimento dell'assegno L. n. 798 del 1970, ex art. 5, occorrendo che essa sia dipesa dal contributo familiare dato dal coniuge richiedente.
4. Il terzo motivo è inammissibile per assoluta genericità ed inconferenza. Il vizio motivazionale è invero inammissibile, alla luce della nuova formulazione dell'art. 360 c.p.c., n. 5, essendo deducibile come vizio della sentenza soltanto la totale omissione dell'esame di un fatto decisivo e non più l'insufficienza o la contraddittorietà della motivazione (Cass. Sez. U., 07/04/2014, nn. 8053 e 8054).
5. Per tutto quanto sopra esposto, va dichiarato inammissibile il ricorso. Le spese, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza.
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso; condanna il ricorrente, al pagamento delle spese processuali del presente giudizio di legittimità, liquidate in complessivi Euro 2.500,00, a titolo di compensi, oltre 100,00 per esborsi, nonchè al rimborso forfetario delle spese generali nella misura del 15/0 ed agli accessori di legge.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, par a quello previsto per il ricorso per cassazione, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, ove dovuto.
Dispone che, ai sensi del D.Lgs. n. 198 del 2003, art. 52, siano omessi le generalità e gli altri dati identificativi, in caso di diffusione del presente provvedimento.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 15 febbraio 2022.
Depositato in Cancelleria il 12 aprile 2022
16-04-2022 20:34
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