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Sentenza

La moglie ha diritto all'assegno divorzile anche quando si procura lavori saltuari. Il contributo ha natura assistenziale, compensativa e perequativa.
La moglie ha diritto all'assegno divorzile anche quando si procura lavori saltuari. Il contributo ha natura assistenziale, compensativa e perequativa.
Cass. civ., sez. I, sent., 28 luglio 2022, n. 23583

Presidente Bisogni – Relatore Iofrida

Fatti di causa

La Corte d'appello di Venezia, con sentenza n. 2572/2019, depositata in data 19/6/2019, ha parzialmente riformato, solo in punto di spese, la decisione del Tribunale di Treviso che, nell'ambito del giudizio divorzile svoltosi tra R.V. e C.V. , aveva dichiarato, con una prima sentenza non definitiva del 2015, la cessazione degli effetti civili del matrimonio concordatario celebrato dalla R. e dal C. , nel 2001, e, con sentenza definitiva del 2018, in ordine alle condizioni economiche e ai provvedimenti relativi ai due figli adottati dalla coppia, aveva assegnato la casa coniugale alla R. , con la quale conviveva il figlio K. , maggiorenne ma non economicamente autosufficiente, confermato l'affidamento dell'altro figlio, minore, P. ai Servizi Sociali territorialmente competenti ed il suo collocamento etero-familiare in struttura comunitaria adeguata al trattamento di specifiche problematiche (come già disposto dal Tribunale per i Minorenni di Venezia in data 17/6/2016, ai sensi della L. n. 1404 del 1934, art. 25, per esigenze educative e terapeutiche del minore in difficoltà), ponendo a carico di entrambi i genitori il contributo al mantenimento di P. nella misura di Euro 150,00 mensili ciascuno ed alle spese straordinarie nella misura del 50% ciascuno, nonché a carico del padre l'assegno di Euro 300,00 mensili per il mantenimento del figlio maggiorenne, rigettata la richiesta di assegno divorzile della moglie e le altre domande avanzate dalle parti, ponendo a carico della R. le spese di lite.

In particolare, i giudici d'appello, dando atto che, nel corso di sei anni, in diversi giudizi, erano state espletate tre consulenze tecniche in relazione alle condizioni dei due ragazzi, che erano stati adottati dai coniugi R. -C. ed erano giunti in Italia nell'estate del 2009, alle età rispettive di 10 e 5 anni, hanno affermato che: a) anche dall'ultima consulenza espletata, nel giudizio di divorzio, era stato confermato "lo stato di grave disadattamento parasociale e l'assetto psicopatologico" che P. aveva mantenuto nel tempo, da dieci anni, con una diagnosi di "disturbi della condotta...associato a disturbo dell'umore prevalente in senso disforico, continuato negli anni con il medesimo livello di intensità, con episodi di aggressività denunciati dalla madre e valutati anche dal giudice penale e con necessità di terapia farmacologica che presuppone costante controllo", nonché le vicissitudini dei rapporti dei genitori con i figli e dei figli tra loro e l'aspra conflittualità che ancora caratterizzava i rapporti tra i genitori adottivi (il padre aveva una ridotta disponibilità a farsi carico delle problematiche del figlio, la stessa madre si era "astenuta dal chiedere il rientro del minore presso di sé, in quanto verosimilmente consapevole delle difficoltà di gestione che la convivenza col ragazzo e le sue necessità di cure comportano"); b) l'affidamento del minore ai Servizi Sociali non doveva essere limitato, come ritenuto dal consulente tecnico Dott. S. , alle sole "questioni cliniche", occorrendo un sostegno non solo terapeutico ma anche rivolto alla "sua tutela dalle influenze disturbanti del conflitto genitoriale e della competizione con il fratello " e non essendo la madre in grado di gestire autonomamente tali aspetti, manifestando una tendenza a negare e minimizzare le difficoltà; c) nessuna delle parti, peraltro, aveva richiesto il rientro di P. presso la madre e la dimissione dalla comunità dello stesso e quindi doveva essere confermato, ex art. 337 ter, comma 2, c.c., il collocamento etero-familiare del ragazzo in comunità e il suo affidamento ai Servizi sociali, cui andavano rimesse la regolamentazione dei rapporto con i familiari, il monitoraggio del loro esito, il sostegno psicoterapeutico e la valutazione delle molteplici necessità, "tenendo conto delle indicazioni dei genitori (la cui decadenza dalla responsabilità genitoriale è stata revocata con provvedimento del 17/5/2013)", con mantenimento a carico dei genitori delle spese di mantenimento, peraltro fissato in misura esigua; d) l'esonero dal contributo al mantenimento del figlio minore da parte della madre avrebbe potuto essere giustificato solo da documentate difficoltà economiche, nella specie indimostrate, e doveva pure essere confermato il diniego dell'assegno divorzile, atteso che la R. disponeva, convivendovi con il figlio K. , di uno "spazioso appartamento di proprietà comune delle parti", sostenendone, per la quota di proprietà, la metà delle rate del mutuo ipotecario contratto per l'acquisto, nonché di altro immobile in Salerno, in relazione al quale non era stata dimostrata la necessità di destinazione ai genitori in comodato gratuito, era commercialista iscritta all'albo, lavorava "a venti ore settimanali, con una proporzionale retribuzione", che avrebbe tuttavia potuto essere incrementata in relazione all'età della donna (52 anni) ed alla qualifica professionale maturata, mentre il marito era dipendente INAIL, con uno stipendio mensile di Euro 2.100,00 netti e doveva restituire un finanziamento contratto nel 2016, era contitolare con la moglie della sola casa coniugale, per la quale versava la sua quota, del 50%, delle rate di mutuo, e contribuiva al mantenimento del figlio più grande con Euro 300,00 mensili, cosicché le condizioni economiche delle parti dovevano ritenersi equivalenti; e) non potevano essere addotte nuove ragioni per l'assegnazione della casa coniugale (avendo l'appellante R. chiesto che essa venisse espressamente riferita "anche alla necessità di assicurare a P. una sistemazione abitativa, all'uscita dalla comunità", laddove l'altro fratello si fosse nel frattempo reso autonomo, decidendo di lasciare l'abitazione), considerato che l'affidamento esclusivo alla madre era stato negato e la destinazione del minore dovrà essere valutata al momento delle sue dimissioni dalla comunità.

Avverso la suddetta pronuncia, R.V. propone ricorso per cassazione, notificato il 23/10/2019, affidato a sei motivi, nei confronti di C.V. (che resiste con controricorso, notificato il 2/12/2019). La ricorrente ha depositato memoria.

Con ordinanza interlocutoria n. 23992/21, la causa è stata rimessa alla pubblica udienza in relazione alla questione posta dalla ricorrente circa l'idoneità o meno dell'affido super-esclusivo ex art. 25 RD 1404/1935, in luogo del collocamento etero familiare in una struttura comunitaria adeguata alle esigenze educative e terapeutiche del minore. Il PG ha depositato requisitoria scritta, concludendo per il rigetto del ricorso. Entrambe le parti hanno depositato memorie.

Ragioni della decisione

1.La ricorrente lamenta: a) con il primo motivo (rubricato 4.1), la violazione dell'art. 32 Cost. e dell'art. 3 della Convenzione ONU sui diritti del minore del 1989, in relazione alla mancata applicazione dell'affido super-esclusivo, dolendosi che la Corte di appello abbia disatteso il suggerimento rassegnato dal CTU derivante da valutazioni cliniche, che aveva indicato l'opportunità dell''affido super-esclusivo alla madre, con attribuzione alla stessa di tutte le decisioni riguardanti il minore senza necessità di accordo con il padre, "come rimedio idoneo ad incidere sulla salute di P. " (pag. 6 del ric.), senza averlo nemmeno sentito a chiarimenti, in contrasto con le disposizioni che esigono il perseguimento del "best interest" del minore; b) con il secondo motivo (rubricato 4.2), la violazione dell'art. 30 Cost., della L. n. 184 del 1983, art. 1, dell'art. 337 ter c.c., dell'art. 8CEDU, sempre relativamente alla collocazione del figlio minore presso una struttura esterna, perché limiterebbe la responsabilità genitoriale della madre, pur non essendo stata riscontrata a suo carico una ridotta o totale incapacità genitoriale; c) con il terzo motivo (rubricato 4.3), la violazione e falsa applicazione dell'art. 337 ter c.c. in relazione al R.D. n. 1404 del 1934, art. 25, esaminando il rapporto tra la misura amministrativa ex art. 25 cit., che ha la funzione di tutelare il minore "irregolare per condotta o per carattere", in funzione non solo di prevenzione della devianza ma anche di cura dei minori che soffrono di patologie psichiatriche, e che non presuppone l'incapacità dei genitori, ed il provvedimento ex art. 337 bis c.c., che invece "presuppone una incapacità genitoriale" e sostenendo che, mentre il provvedimento di affidamento ai Servizi Sociali, ex art. 337 bis c.c., non può trovare il suo fondamento nella misura amministrativa ex art. 25 1.1934, non contestata dalla ricorrente, disposta relativamente al minore P. - tuttora in atto fino a revoca da parte del Tribunale dei minorenni - soltanto come intervento di sostegno limitatamente al reperimento di una struttura adatta a fronteggiare la situazione clinica e evolutiva del ragazzo, tale ultima misura è del tutto compatibile con l'affidamento "super-esclusivo" alla madre, ex art. 337 ter c.c.; d) con il quarto motivo (rubricato 5.1), la violazione della L. n. 898 del 1970, art. 5 in merito al diniego di riconoscimento dell'assegno divorzile, essendosi del tutto trascurata la funzione perequativa-compensativa dell'assegno, pur avendo la Corte di merito riconosciuto che la R. aveva dovuto sacrificare le proprie attività professionali per provvedere alle necessità dei bambini, adottati nel 2009, nonché per aver trascurato di dare il giusto rilievo all'età della donna, al fatto che ella si era cancellata dalla Cassa dei dottori commercialisti sin dal 2007, alle necessità permanenti di seguire i figli, che "continuano ad essere impegnativi"; e) con il quinto motivo (rubricato 6.1 e 6.2) si deduce, sia la violazione dell'art. 132 c.p.c. perché, a parere della ricorrente, la sentenza non avrebbe precisato a favore di chi debba essere versato il contributo per il mantenimento di P. e comunque il ricovero in comunità è stato disposto per problemi di tipo sanitario, cosicché le spese dovevano ritenersi a carico della ULSS, sia la violazione dell'art. 112 c.p.c. e 24 Cost.. per pronuncia ultra petita sul punto; f) con il sesto motivo (rubricato 7), la violazione e falsa applicazione dell'art. 337 sexies c.c., in ordine alla mancata assegnazione della casa familiare in ragione della posizione del figlio minore.

2. Preliminarmente, va rilevato che il Tribunale di Treviso, nel 2018, aveva giustificato la pronuncia giurisdizionale di affido del minore P. ai Servizi Sociali e collocamento in comunità strutturata per il trattamento di specifiche problematiche, ai sensi dell'art. 337 bis c.c., richiamando il provvedimento amministrativo del 17/6/2016 con cui il Tribunale per i minorenni di Venezia aveva disposto, in considerazione dei gravi problemi di P. e delle sue conseguenti condotte antisociali, che lo stesso fosse "affidato al Servizio sociale per il collocamento in idonea comunità adeguata alle sue esigenze educative e/o terapeutiche e per intervento di controllo e sostegno della sua situazione evolutiva".

In effetti, nel caso in cui la cd. "devianza giovanile" si esprima in comportamenti distruttivi del sé e della collettività non penalmente sanzionati ovvero nel caso in cui, pur in presenza di reati, sia ritenuto dal giudice non possibile o non opportuno il ricorso a misure penali (non imputabilità dell'infraquattordicenne, non maturità del minore ultraquattordicenne, opportunità di rinuncia all'irrogazione di una sanzione penale) possono essere assunte dal Tribunale per i minorenni misure di recupero che l'ordinamento giuridico definisce rieducative. L'art. 25 R.D. n. 1404 del 1934 (legge istitutiva del Tribunale per i minorenni), sostituito dall'art. unico della L. 25 luglio 1956, n. 888, stabilisce che, quando un minore "dà manifeste prove di irregolarità della condotta e del carattere", il Tribunale per i minorenni, dopo avere svolto approfondite indagini sulla sua personalità, può disporre in camera di consiglio l'applicazione di una delle seguenti misure rieducative, tra cui l'affidamento del minore al Servizio sociale minorile. Si tratta di misure rieducative, rientranti nella competenza amministrativa del Tribunale per i minorenni, che non hanno una durata predeterminata, dal momento che è sempre in facoltà del tribunale trasformare qualsiasi misura in altra che appaia più funzionale agli scopi rieducativi, dovendone essere, tuttavia, ordinata la cessazione "allorché il minore appaia interamente riadattato o quando per le sue condizioni fisiche o psichiche nessuna misura possa considerarsi idonea alla sua rieducazione" e quando il soggetto abbia raggiunto la maggiore età.

Il provvedimento del Tribunale per i minorenni del 2016 di affidamento del minore ai Servizi Sociali e collocamento dello stesso presso una comunità non ha perso efficacia, per quanto emerge dagli atti.

Tuttavia, P. (che si dice, in sentenza, sarebbe giunto in Italia nel 2009, all'età di 5 anni, dopo l'adozione da parte dei coniugi R. -C. ) ha, attualmente, raggiunto la maggiore età, come dedotto dal controricorrente in memoria e confermato anche dal difensore di parte ricorrente all'udienza pubblica dell'11 maggio 2022. Con la maggiore età, la misura amministrativa ex L. n. 1404 del 1934 art. 25 perde efficacia.

Nel presente giudizio, in ogni caso, il dato nuovo acquisito è rilevante in quanto, in caso di raggiungimento, nelle more del giudizio, della maggiore età del figlio non si pone più una questione di affidamento del medesimo.

Ne consegue che i primi tre motivi, concernenti le statuizioni relative all'affidamento del figlio P. sono divenuti inammissibili per carenza di interesse (v. Cass. 27235/2020: " Quando, nelle more del giudizio di legittimità avente ad oggetto l'affidamento di figlio minore ad uno degli ex coniugi a seguito di cessazione degli effetti civili del matrimonio, sopravvenga la maggiore età del figlio, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile per sopravvenuta carenza di interesse del ricorrente all'impugnazione"; Cass. 10719/2013; Cass.

5383/2006). L'interesse all'impugnazione, il quale costituisce manifestazione del generale principio dell'interesse ad agire - sancito, quanto alla proposizione della domanda ed alla contraddizione alla stessa, dall'art. 100 c.p.c. - va apprezzato in relazione all'utilità concreta derivabile alla parte dall'eventuale accoglimento del gravame e non può consistere in un mero interesse astratto ad una più corretta soluzione di una questione giuridica, non avente riflessi sulla decisione adottata (Cass. 15623/2005).

3. Il quarto motivo (in punto di assegno divorzile) è fondato.

Questa Corte, a Sezioni Unite, con la sentenza n. 18287/2018, ha chiarito, con riferimento ai dati normativi già esistenti, che: 1) "il riconoscimento dell'assegno di divorzio in favore dell'ex coniuge, cui deve attribuirsi una funzione assistenziale ed in pari misura compensativa e perequativa, ai sensi del L. n. 898 del 1970 art. 5, comma 6, richiede l'accertamento dell'inadeguatezza dei mezzi dell'ex coniuge istante, e dell'impossibilità di procurarseli per ragioni oggettive, applicandosi i criteri equiordinati di cui alla prima parte della norma, i quali costituiscono il parametro cui occorre attenersi per decidere sia sulla attribuzione sia sulla quantificazione dell'assegno. Il giudizio dovrà essere espresso, in particolare, alla luce di una valutazione comparativa delle condizioni economico-patrimoniali delle parti, in considerazione del contributo fornito dal richiedente alla conduzione della vita familiare ed alla formazione del patrimonio comune, nonché di quello personale di ciascuno degli ex coniugi, in relazione alla durata del matrimonio ed all'età dell'avente diritto"; 2) "all'assegno divorzile in favore dell'ex coniuge deve attribuirsi, oltre alla natura assistenziale, anche natura perequativo-compensativa, che discende direttamente dalla declinazione del principio costituzionale di solidarietà, e conduce al riconoscimento di un contributo volto a consentire al coniuge richiedente non il conseguimento dell'autosufficienza economica sulla base di un parametro astratto, bensì il raggiungimento in concreto di un livello reddituale adeguato al contributo fornito nella realizzazione della vita familiare, in particolare tenendo conto delle aspettative professionali sacrificate"; 3) la funzione equilibratrice del reddito degli ex coniugi, anch'essa assegnata dal legislatore all'assegno divorzile, non è finalizzata alla ricostituzione del tenore di vita endoconiugale, ma al riconoscimento del ruolo e del contributo fornito dall'ex coniuge economicamente più debole alla formazione del patrimonio della famiglia e di quello personale degli ex coniugi".

La Corte d'appello ha confermato il diniego dell'assegno divorzile rilevando che le condizioni economiche delle parti sono pressoché equivalenti, in quanto le potenzialità di reddito della R. possono "colmare la differenza delle rispettive retribuzioni".

Ma la differenza reddituale, coessenziale alla ricostruzione del "tenore di vita matrimoniale", non è decisiva, isolatamente considerata, ai fini della determinazione dell'assegno perché l'entità del reddito dell'altro ex coniuge non giustifica, di per sé, la corresponsione di un assegno in proporzione delle sue sostanze (Cass. n. 21234/2019).

Lo squilibrio rileva "come precondizione fattuale" (Cass. 32398/2019), quando risulti che esso sia riconducibile alle scelte comuni di conduzione della vita familiare, alla definizione dei ruoli all'interno della coppia e al sacrificio delle aspettative di lavoro di uno dei due (Cass. 21926/2019).

Questa Corte, con la pronuncia n. 11504 del 2017, abbandonato il precedente orientamento, secondo il quale il giudizio di adeguatezza previsto dal comma 6 del citato art. 5 ("dispone l'obbligo per un coniuge di somministrare periodicamente a favore dell'altro un assegno quando quest'ultimo non ha mezzi adeguati o comunque non può procurarseli per ragioni oggettive") andrebbe formulato in relazione al parametro del "tenore di vita", aveva affermato che, diritto all'assegno divorzile andrebbe parametrato non al criterio della conservazione (tendenziale) del tenore di vita matrimoniale, ma all'indipendenza o autosufficienza economica del coniuge richiedente. Ma le Sezioni Unite del 2018, pur confermando l'abbandono del parametro del "tenore di vita" e il riparto degli oneri probatori definito nel 2017, nel senso che è il coniuge richiedente a dover provare la situazione che giustifica la corresponsione dell'assegno, hanno riconosciuto all'assegno di divorzio una funzione non già soltanto assistenziale (qualora la situazione economico-patrimoniale di uno degli ex coniugi non gli garantisca l'indipendenza economica), ma anche riequilibratrice, ovvero compensativo-perequativa, ove ne sussistano i presupposti - in presenza di un significativo squilibrio delle situazioni economico-patrimoniali tra gli ex coniugi, dopo il divorzio, e quantunque entrambi versino in situazione di autosufficienza economica - per la cui verifica è stata bandita la separazione tra criteri attributivi, tali da incidere sull'an del diritto all'assegno, e criteri determinativi, da utilizzarsi solo successivamente, ai fini della fissazione del quantum: la Corte ha avuto riguardo al caso in cui l'ex coniuge richiedente, specialmente nei rapporti matrimoniali protrattisi per lungo tempo, pur trovandosi, all'esito del divorzio, in situazione di autosufficienza economica, versi rispetto all'altro in condizioni economico-patrimoniali deteriori per aver rinunciato, al fine di contribuire ai bisogni della famiglia, ad occasioni in senso lato reddituali, attuali o potenziali, con sacrificio economico, a favore dell'altro coniuge, che merita un intervento, "compensativo-perequativo".

L'assegno divorzile è quindi dovuto o nell'ipotesi in cui l'ex coniuge non sia economicamente autosufficiente o in quella in cui "il matrimonio sia stato causa di uno spostamento patrimoniale divenuto ingiustificato ex post dall'uno all'altro coniuge, spostamento patrimoniale che, in tal caso, e solo in tal caso, va corretto attraverso l'attribuzione di un assegno, in funzione compensativo-perequativa" (Cass. 24250/2021).

L'assegno di divorzio deve essere riconosciuto, non in rapporto al pregresso tenore di vita familiare, ma in misura adeguata anzitutto a garantire, in funzione assistenziale, l'indipendenza o autosufficienza economica dell'ex coniuge, secondo un criterio di normalità, avuto riguardo alla concreta situazione del coniuge richiedente nel contesto in cui egli vive, e inoltre, ove ne ricorrano i presupposti e vi sia una specifica prospettazione in tal senso, deve essere adeguato a compensare il coniuge economicamente più debole, in funzione perequativo-compensativa, del sacrificio sopportato per aver rinunciato a realistiche occasioni professionali-reddituali (che il coniuge richiedente ha l'onere di dimostrare nel giudizio), al fine di contribuire ai bisogni della famiglia, rimanendo, in tal caso, assorbito l'eventuale profilo assistenziale (Cass. 24250/2021).

La giurisprudenza di legittimità ha poi costantemente ritenuto inidonea ad escludere l'obbligo di corrispondere un contributo di natura assistenziale la sola generica (e nella specie non professionale) capacità lavorativa. In particolare, ha stabilito che, con riguardo alla capacità lavorativa del coniuge beneficiario dell'assegno, l'indagine del giudice di merito, onde verificare se risulti integrato o escluso il presupposto dell'attribuzione dell'assegno, va condotta "secondo criteri di particolare rigore e pregnanza, non potendo una attività concretamente espletata soltanto saltuariamente (nella specie, di estetista) giustificare l'affermazione della "esistenza di una fonte adeguata di reddito" - onde negare il diritto all'assegno divorzile in capo all'istante -, specie a fronte della rilevazione, da parte dello stesso giudice di merito, del carattere meramente episodico e occasionale di tale attività, e non potendosi, in tal caso, legittimamente inferire, "sic et simpliciter", la presunzione della effettiva capacità del coniuge a procurarsi un reddito adeguato" (Cass. 6468/1998; conf. Cass. 4584/2000). E l'irrilevanza, al riguardo, della generica ed astratta possibilità del coniuge di procurarsi lavori saltuari è stata più volte ribadita da questo giudice di legittimità (Cass. 10260/1999), essendosi chiarito che tale indagine, condotta in sede di merito, deve esprimersi sul piano della concretezza e dell'effettività, tenendo conto di tutti gli elementi e fattori (individuali, ambientali, territoriali, economico sociale) della specifica fattispecie (Cass. 432/2002; Cass. 13169/2004).

Ora, nella specie, è mancata un'effettiva valutazione dei presupposti dell'assegno divorzile in quanto si doveva accertare l'effettiva mancanza della "indipendenza o autosufficienza economica" di uno dei coniugi, intesa come impossibilità di condurre con i propri mezzi un'esistenza economicamente autonoma e dignitosa, e, nel caso di accertamento dell'autosufficienza ma di riscontro di uno squilibrio reddituale-patrimoniale, verificare se vi fosse la necessità di compensare uno dei coniugi per il particolare contributo che egli dimostri di avere dato alla formazione del patrimonio comune o dell'altro coniuge durante la vita matrimoniale, avendo sacrificato le proprie concrete (e non aleatorie) aspettative professionali (cfr. Cass. civ. 21234/2019, 5603/2020, 22499/2021).

Spetta al giudice del rinvio fare corretta applicazione in concreto del criterio, principale, della indipendenza economica e, alle condizioni suindicate, di quello compensativo, ai fini della attribuzione e quantificazione dell'assegno divorzile.

6. Il quinto motivo, attinente alla questione della previsione del contributo al mantenimento del minore in favore di terzi, è pure fondato.

Questa Corte in una recente pronuncia (Cass. 22536/21) ha già affrontato analoga questione chiarendo che: a) la tutela degli interessi morali e materiali della prole è sottratta all'iniziativa ed alla disponibilità delle parti ed è sempre riconosciuto al giudice il potere di adottare d'ufficio, in ogni stato e grado del giudizio di merito, tutti i provvedimenti necessari per la migliore protezione dei figli (cfr. Cass. n. 21178 del 2018), sussistendo l'obbligo dei genitori di mantenere la prole per il solo fatto di averla generata, anche a prescindere da ogni statuizione del giudice al riguardo (cfr. Cass. n. 15481 del 2003); b) è anche vero, peraltro, che l'obbligo di mantenimento del figlio minore che grava su ciascun genitore (artt. 316 bis e 337 ter c.c.), separato o divorziato, si configura in termini di rimborso della quota dovuta da uno dei genitori a favore dell'altro genitore che ha provveduto per intero al mantenimento del figlio; c) ne consegue che " nel caso (e per il periodo) in cui il figlio sia stato collocato in affidamento etero-familiare presso i servizi sociali di un comune, non rientra tra i poteri del giudice pronunciare, d'ufficio, la condanna dei genitori a corrispondere somme a titolo di mantenimento (a copertura delle spese anticipate per l'accoglienza, l'accudimento e l'educazione in ambiente comunitario) a favore di terzi, cioè - nella specie - dei servizi sociali del Comune di Cervarese S. Croce, il quale non ha proposto una domanda in tal senso, non avendo nemmeno partecipato al giudizio"; d) "nè sarebbe utile richiamare, in senso contrario, il R.D.L. n. 20 luglio 1934, n. 1404, art. 25, (sostituito dalla L. 25 luglio 1956, n. 888), istitutivo del Tribunale per i minorenni, il cui comma 3, dispone che "Le spese di affidamento o di ricovero, da anticiparsi dall'Erario, sono a carico dei genitori, in mancanza dei quali "sono tenuti a rimborsare tali retta gli esercenti la tutela, in quanto, sulla base di tale disposizione, l'ente pubblico può far valere, nell'ambito di un apposito procedimento, la pretesa del rimborso nei confronti dei genitori, nella misura corrispondente ai costi effettivamente sostenuti per l'affidamento del figlio i servizi sociali ma ciò, tuttavia, non autorizza la condanna dei genitori ad adempiere all'obbligo di mantenimento in favore direttamente dell'ente pubblico del giudizio, al quale l'ente era rimasto estraneo, avente ad oggetto la definizione dei rapporti personali e patrimoniali tra i coniugi successivamente al divorzio o alla separazione, in misura differente a quei costi e senza una domanda dell'ente che ne avrebbe interesse (Cass. civ. sez I ord. N. 22536 del 9 agosto 2021.)

7. il sesto motivo attinente la questione dell'esclusione del rilievo nell'interesse del minore P. nell'assegnazione della casa familiare, già attribuita alla madre quale convivente con l'altro figlio K. , maggiorenne non economicamente autosufficiente, è del pari fondato.

La Corte d'appello ha ritenuto di non accogliere il motivo di doglianze inerente la richiesta di specificazione di ulteriori ragioni correlate al figlio P. , avendo negato l'affidamento super esclusivo alla madre dello stesso e dovendo semmai la questione della sua destinazione essere valutata la momento della dimissione dalla comunità.

Tuttavia, l'art. 337 sexies c.c, tutela, in effetti, il preminente interesse del figlio alla conservazione dell'habitat domestico, il centro dei suoi effetti e gli interessi e delle consuetudini in cui si esprime e si articola la vita familiare, per evitare il disagio psichico e materiale che si accompagna di regola al mutamento dell'abitazione indipendentemente dalle regole dell'affidamento e dall'età potendo permanere sino al raggiungimento dell'indipendenza economica.

Orbene, doveva, quindi, essere tutelato tale diritto del figlio P. di abitare nella casa familiare, che comunque era già stata assegnata alla madre in quanto genitore convivente con l'altro figlio, sia nella prospettiva del suo rientro definitivo, essendo stato l'allontanamento conseguenza, non di una sua volontà, ma di una scelta rieducativa in relazione alle momentanee condizioni di fragilità personale, sia in quella di rientri temporanei dalla struttura comunitaria (cfr. Cass. 14348/2018, ove si è evidenziato come gli eventi che giustificano la revoca dell'assegnazione della casa coniugale devono presentare "carattere di stabilità o irreversibilità", dovendo comunque il giudice verificare che il provvedimento richiesto non contrasti con i preminenti interessi della prole affidata o convivente con l'assegnatario; cfr. anche, in motivazione, Cass. 11218/2013).

8. Per tutto quanto sopra esposto, dichiarata la sopravvenuta inammissibilità per carenza di interesse dei primi tre motivi del ricorso, stante il raggiungimento della maggiore età del minore P. nelle more del giudizio di legittimità, in accoglimento dei motivi quarto, quinto e sesto del ricorso, va cassata la sentenza impugnata con rinvio alla Corte d'appello di Venezia in diversa composizione. Il giudice del rinvio provvederà alla liquidazione delle spese del presente giudizio di legittimità.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibili, per sopravvenuta carenza di interesse, i primi tre motivi del ricorso, accoglie i motivi quarto, quinto e sesto del ricorso, cassa la sentenza impugnata, con rinvio alla Corte d'appello di Venezia, in diversa composizione, anche in ordine alla liquidazione delle spese del presente giudizio di legittimità.

Dispone che, ai sensi del D.Lgs. n. 198 del 2003, art. 52 siano omessi le generalità e gli altri dati identificativi, in caso di diffusione del presente provvedimento.
Avv. Antonino Sugamele

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