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Sentenza

L'assegno di mantenimento non è dovuto se il coniuge non prova di essersi attivato per reperire un'occupazione .
L'assegno di mantenimento non è dovuto se il coniuge non prova di essersi attivato per reperire un'occupazione .
Cass. civ. Sez. I, Ord., (ud. 13-04-2021) 21-07-2021, n. 20866

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GENOVESE Francesco A. - Presidente -

Dott. TRICOMI Laura - Consigliere -

Dott. LAMORGESE Antonio Pietro - Consigliere -

Dott. PAZZI Alberto - rel. Consigliere -

Dott. FALABELLA Massimo - Consigliere -

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso n. 7651/2017 proposto da:

C.A., elettivamente domiciliata in Roma, Via Eleonora Duse n. 53, presso lo studio dell'Avvocato Alessandro Travaglini, rappresentata e difesa dall'Avvocato Angelo Galassi giusta procura in calce al ricorso;

- ricorrente -

contro

A.S., elettivamente domiciliato in Roma, Via Tibullo n. 10, presso lo studio dell'Avvocato Sara Menichetti, che lo rappresenta e difende, unitamente all'Avvocato Alberto Figone, giusta procura in calce al controricorso e ricorso incidentale;

- controricorrente e ricorrente incidentale contro

C.A., elettivamente domiciliata in Roma, Via Eleonora Duse n. 53, presso lo studio dell'Avvocato Alessandro Travaglini, rappresentata e difesa dall'Avvocato Angelo Galassi giusta procura in calce al ricorso;

- controricorrente al ricorso incidentale -

avverso la sentenza n. 5620/2016 della Corte d'appello di Roma, depositata il 27/9/2016;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 13/4/2021 dal cons. Alberto Pazzi.
Svolgimento del processo

che:

1. Il Tribunale di Roma, con sentenza n. 1606/2104, pronunciava la separazione dei coniugi C.A. e A.S., rigettando le reciproche domande di addebito, e affidava la figlia minore G. a entrambi i genitori, con residenza prevalente presso la madre e fissazione di tempi e modalità di visita da parte del padre; nel contempo poneva a carico dell' A. l'obbligo di corrispondere un assegno mensile di mantenimento di Euro 800 per la moglie e Euro 900 per la figlia, rivalutabili annualmente su base ISTAT, oltre alle spese straordinarie da sostenersi per la minore.

2. La Corte d'appello di Roma, a seguito dell'impugnazione proposta da ambedue i coniugi, ribadiva che nessun addebito poteva essere compiuto nei confronti dell' A., in quanto, a fronte della constatazione del Tribunale del fatto che una comunione materiale e spirituale di vita non era mai sorta o comunque non si era mai consolidata, la C. aveva posto in rilievo gli elementi acquisiti a comprova della relazione extraconiugale del marito e del suo conseguente allontanamento dalla casa coniugale, ma nulla aveva opposto in ordine alle enormi difficoltà incontrate dalla coppia sul piano della gestione della vita comune e persino dell'intimità coniugale, sicchè l'infedeltà del coniuge doveva essere apprezzata come conseguenza della disaffezione reciproca già in atto.

I giudici distrettuali ritenevano poi, in considerazione della giovane età della C. (35 anni), del titolo professionale che la donna aveva (ortottista) e dell'attività professionale svolta prima della nascita della figlia, che il suo stato di disoccupazione non fosse incolpevole, non avendo la stessa provato di essersi attivata in qualche modo per la ricerca di un lavoro, e, di conseguenza, riducevano l'assegno di mantenimento già posto a carico dell' A. in una misura indicata in motivazione in Euro 400 e nel dispositivo in Euro 300.

Infine, la Corte territoriale, disattesa la richiesta di modificare il collocamento disposto dal Tribunale, in assenza di richieste della ragazza o di segnalazioni di tale opportunità da parte degli esperti, modulava diversamente le frequentazioni fra padre e figlia, compensando per un terzo le spese di lite e ponendo la residua parte a carico della C..

3. Per la cassazione di questa decisione, pubblicata in data 27 settembre 2016, ha proposto ricorso C.A. prospettando sei motivi di doglianza, ai quali ha resistito con controricorso A.S..

Quest'ultimo, a sua volta, ha presentato ricorso incidentale, affidato a un unico motivo, a cui ha resistito la C..

Parte ricorrente ha depositato memoria ai sensi dell'art. 380 bis.1 c.p.c..
Motivi della decisione

che:

4. Il primo motivo di ricorso denuncia, in relazione all'art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, la violazione e falsa applicazione dell'art. 151 c.c., comma 2, art. 143 c.c., comma 2, e art. 2697 c.c., nonchè degli artt. 112, 113, 115 e 116 c.p.c.: la Corte d'appello - a dire della ricorrente - sarebbe arrivata alla conclusione che la relazione extraconiugale intrattenuta dall' A. fosse una conseguenza della crisi coniugale già in corso e non la causa della stessa, pur in assenza di alcuna eccezione dell'insussistenza di un nesso di causalità e di prova sul punto, prova che doveva essere fornita dallo stesso A., stante la prossimità temporale tra la scoperta della relazione extraconiugale e la separazione.

La valutazione effettuata dalla Corte di merito sulla presunta debolezza del rapporto coniugale, inoltre, non appariva conforme alle risultanze probatorie acquisite nè era il frutto di un'indagine rigorosa.

Il collegio d'appello, infatti, aveva omesso l'esame complessivo e comparativo del materiale probatorio raccolto (e in particolare tanto della lettera datata 1 maggio 2007, quanto delle deposizioni testimoniali raccolte in primo grado) che, ove esaminato nella sua interezza, secondo un'interpretazione letterale appropriata e una giusta contestualizzazione, avrebbe condotto i giudici a pronunciare l'addebito della separazione al marito.

5. Il motivo risulta in parte infondato, in parte inammissibile.

5.1 Ad avviso della ricorrente la Corte di merito sarebbe incorsa in un vizio di extrapetizione, in quanto l' A. non aveva eccepito, nè provato, l'assenza di un nesso causale tra la condotta che gli era contestata e la rottura dell'affectio familiae.

Ora, la regola generale secondo cui l'onere di provare sia la contrarietà del comportamento del coniuge ai doveri che derivano dal matrimonio, sia l'efficacia causale di questi comportamenti nel rendere intollerabile la convivenza grava sulla parte che richieda l'addebito della separazione all'altro coniuge (Cass. 16691/2020, Cass. 14840/2006, Cass. 12383/2005) rimane superata quando si constati la mancanza di un nesso causale fra infedeltà e crisi coniugale, in maniera tale che risulti la preesistenza di una crisi già irrimediabilmente in atto in un contesto caratterizzato da una convivenza meramente formale.

In questo caso trovano applicazione le comuni regole in tema di onere della prova dettate dall'art. 2697 c.c., per cui chi eccepisce l'inefficacia delle condotte poste a fondamento della domanda (e dunque dell'infedeltà nella determinazione dell'intollerabilità della prosecuzione della convivenza) deve provare i fatti su cui l'eccezione si fonda, vale a dire l'anteriorità della crisi matrimoniale all'accertata infedeltà (Cass. 3923/2018, Cass. 2059/2012).

5.2 Entrambi i giudici di merito hanno rilevato come, nel caso di specie, emergesse dalle risultanze probatorie "non tanto la rottura di un matrimonio ma l'assenza di un "vero" matrimonio" (pag. 4 della sentenza impugnata).

Stando a un simile accertamento, in epoca anteriore al verificarsi della violazione dei doveri matrimoniali esisteva già una situazione - di assenza di consortium vitae e rapporti interpersonali non connotati dall'affectio coniugalis - che doveva essere allegata da chi assumeva che la propria infedeltà non aveva avuto efficacia causale nel naufragio del rapporto matrimoniale.

Non vi è dubbio che una simile allegazione vi sia stata - per di più ad opera di ambedue i coniugi -, ove si consideri che la decisione impugnata sottolinea espressamente (a pag. 4) che la ricostruzione del primo giudice era fondata "non soltanto sulle deposizioni dei testi, ma persino sulle stesse allegazioni delle parti, che evidenziano reciprocamente di non essere mai stata realmente una "coppia" avendo avuto sin da subito problemi a relazionarsi persino sul piano intimo".

E tanto bastava al giudice di merito - in termini di rappresentazione del fatto rilevante ai fini del decidere sulla questione controversa - per constatare la mancanza di un nesso di causalità fra infedeltà e intollerabilità della prosecuzione della convivenza.

Si consideri, infatti, che secondo la consolidata giurisprudenza di questa Corte vale in linea generale la regola della rilevabilità d'ufficio degli effetti dei fatti estintivi, impeditivi o modificativi ritualmente allegati dalla parte e risultanti dal materiale probatorio legittimamente acquisito, a meno che la manifestazione della volontà della parte sia strutturalmente prevista quale elemento integrativo della fattispecie difensiva (come nel caso di eccezioni corrispondenti alla titolarità di un'azione costitutiva) ovvero quando singole disposizioni prevedano espressamente come indispensabile l'iniziativa di parte (cfr. Cass., Sez. U., 1099/1998; nello stesso senso si vedano, da ultimo, Cass. 20312/2019 e Cass. 27405/2018).

L'eccezione concernente la mancanza di un nesso di causalità fra infedeltà e prosecuzione della convivenza non ha queste caratteristiche, dipendendo dal mero verificarsi di un particolare stato di fatto, rientra, di conseguenza, nelle cosiddette eccezioni in senso lato e ben poteva essere rilevata dal giudice di merito a fronte della rituale allegazione e della puntuale dimostrazione di fatti che suffragassero l'effettiva esistenza di una simile situazione.

Occorre quindi affermare che il giudice chiamato a pronunciare la separazione può rilevare d'ufficio, al fine di rigettare la domanda di addebito, gli effetti dell'anteriorità della crisi matrimoniale all'accertata infedeltà, purchè la stessa sia stata allegata dalla parte a ciò interessata e risulti dal materiale probatorio.

5.3 Il motivo, laddove lamenta l'errata valutazione delle risultanze probatorie, di natura documentale o testimoniale, non evidenzia alcuna criticità in punto di diritto in capo alla decisione impugnata, ma esprime un mero dissenso rispetto a un apprezzamento di fatto che, essendo frutto di una determinazione discrezionale del giudice di merito, non è sindacabile da questa Corte.

Al riguardo va ribadito il principio secondo cui il ricorso per cassazione conferisce al giudice di legittimità non già il potere di riesaminare il merito dell'intera vicenda processuale, ma solo la facoltà del controllo, sotto il profilo della correttezza giuridica e della coerenza logico-formale, delle argomentazioni svolte dal giudice di merito, al quale spetta, in via esclusiva, il compito di individuare le fonti del proprio convincimento, di controllarne l'attendibilità e la concludenza, di scegliere, tra le complessive risultanze del processo, quelle ritenute maggiormente idonee a dimostrare la veridicità dei fatti ad essi sottesi, dando così liberamente prevalenza all'uno o all'altro dei mezzi di prova acquisiti, salvo i casi tassativamente previsti dalla legge (cfr., ex plurimis, Cass. 331/2020, Cass. 21098/2016, Cass. 27197/2011). Nè è sindacabile in questa sede di legittimità un eventuale errore di valutazione della congerie istruttoria, consistente nel ritenere la fonte di prova dimostrativa o meno del fatto che con essa si intendeva provare, dato che un simile vizio non è previsto dalla tassonomia dei vizi denunciabili con il ricorso per cassazione di cui all'art. 360 c.p.c. (Cass. 9356/2017).

6.1 II secondo motivo di ricorso denuncia, ai sensi dell'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, la violazione dell'art. 156 c.p.c., e sostiene che la sentenza impugnata sia radicalmente nulla per contrasto insanabile tra parte motiva (dove la misura dell'assegno è indicata in Euro 400) e parte dispositiva (al cui interno l'assegno di mantenimento è fissato in Euro 300), anche in ragione dell'omessa indicazione dei criteri seguiti dai giudici distrettuali per giungere alla quantificazione ritenuta più conveniente.

6.2 D terzo motivo di ricorso lamenta, ex art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, la violazione e falsa applicazione degli artt. 156 e 2697 c.c., artt. 113, 115 e 116 c.p.c.: la Corte d'appello - sostiene la ricorrente - ha ridotto l'assegno di mantenimento in una misura inidonea a garantire la conservazione non solo del tenore di vita goduto in costanza di matrimonio, ma anche di un minimo vitale, valorizzando a tal fine l'attitudine al lavoro della moglie in termini meramente ipotetici e senza riscontrare l'effettiva possibilità di svolgimento di un'attività lavorativa retribuita.

Occorreva, invece, che fosse acquisita la prova del fatto che la donna avesse rifiutato, senza giustificato motivo, prospettive o proposte di lavoro concrete, prova che doveva essere fornita non dalla parte richiedente l'assegno, ma dal coniuge onerato della sua corresponsione.

La Corte di merito avrebbe così disapplicato - in tesi - il principio di diritto secondo cui l'assegno di mantenimento ha lo scopo di garantire al titolare di mantenere un tenore di vita analogo a quello goduto in costanza di matrimonio, senza tener conto delle ammissioni dell' A. a questo riguardo e della forzosa fuoriuscita della C. dal mondo del lavoro per dedicarsi, prima della separazione, alla crescita della figlia.

7. I motivi vanno esaminati congiuntamente, investendo sotto diversi profili la quantificazione dell'assegno di mantenimento operata dalla Corte di merito.

7.1 D terzo motivo non è fondato.

E' principio consolidato nella giurisprudenza di questa Corte quello secondo cui in tema di separazione fra coniugi l'attitudine al proficuo lavoro dei medesimi, quale potenziale capacità di guadagno, costituisce elemento valutabile ai fini della determinazione dell'assegno di mantenimento da parte del giudice, che deve al riguardo tener conto non solo dei redditi in denaro, ma anche di ogni utilità o capacità suscettibile di valutazione economica; con l'avvertenza, però, che l'attitudine al lavoro assume rilievo solo se venga riscontrata in termini di effettiva possibilità di svolgimento di un'attività lavorativa retribuita, in considerazione di ogni concreto fattore individuale e ambientale, e non già di mere valutazioni astratte e ipotetiche (Cass. 789/2017, Cass. 3502/2013, Cass. 18547/2006, Cass. 12121/2004).

Questo principio non può essere amplificato fino al punto di ritenere che una concreta attitudine al lavoro, capace di trovare un positivo riscontro sul mercato, possa rimanere non sfruttata a causa dell'inerzia dello stesso richiedente l'assegno, con il risultato di addossare l'onere del suo mantenimento sul coniuge separato e occupato, in quanto un simile contegno inattivo si pone in contrasto con il reale contenuto del dovere di assistenza coniugale, comunque persistente in caso di separazione fino allo scioglimento del matrimonio (Cass. 12196/2017).

In vero, se l'assegno di mantenimento di cui all'art. 156 c.c., trova giustificazione nella persistenza di tale dovere, onde consentire al coniuge che non abbia adeguati redditi propri di mantenere il tenore di vita goduto in costanza di matrimonio, la richiesta di assistenza incontra un limite nel non potere ampliata sino a pretendere quanto lo stesso coniuge meno abbiente potrebbe procurarsi mettendo ragionevolmente a frutto le proprie attitudini.

In altri termini, come quello con maggiori possibilità economiche è tenuto a sovvenire il coniuge sotto questo profilo più debole, così quest'ultimo non può correttamente chiedere quanto è in grado, secondo il canone dell'"ordinaria diligenza", di procurarsi da solo.

Dunque, posto che la prova del ricorrere dei presupposti dell'assegno incombe su chi chiede il mantenimento (Cass. 1691/1987), grava sulla parte che richiede il riconoscimento di un simile assegno dimostrare l'esistenza di una condizione personale, patrimoniale e reddituale che giustifichi la richiesta del beneficio e il tenore di vita goduto in costanza di matrimonio, mentre è onere di chi eccepisce il ricorrere di fatti impeditivi all'accoglimento di una simile richiesta fornire il relativo riscontro.

Rientra nell'onere probatorio del coniuge richiedente l'assegno anche la dimostrazione della non colpevolezza di una simile condizione, quando - come nel caso in esame - sia stato accertato, in fatto, che questi aveva la possibilità di lavorare (Cass. 6886/2018).

Il che significa, più precisamente, che in questo caso rimane a carico del richiedente l'assegno di mantenimento il compito di dimostrare di essersi concretamente attivato e proposto sul mercato del lavoro per reperire un'occupazione lavorativa retribuita confacente alle proprie attitudini e mettere così a frutto le capacità professionali possedute.

La Corte distrettuale, una volta preso atto tanto della "concreta capacità di reddito" dell'odierna ricorrente (in ragione della giovane età, del titolo professionale qualificante di ortottista e dell'attività professionale svolta fino alla nascita della figlia), quanto della sua possibilità di proporsi sul mercato del lavoro, ha perciò correttamente ritenuto che la stessa dovesse "attivarsi per cercare opportunità lavorative", traendo le conseguenze del mancato assolvimento del relativo onere probatorio per non porre totalmente a carico dell'altro coniuge le conseguenze della mancata conservazione del tenore di vita matrimoniale.

Sul punto andrà perciò fissato il seguente principio: il riconoscimento dell'assegno di mantenimento per mancanza di adeguati redditi propri previsto dall'art. 156 c.c., essendo espressione del dovere solidaristico di assistenza materiale, non può estendersi a ciò che l'istante sia in grado, secondo il canone dell'"ordinaria diligenza", di procurarsi da solo.

Rimane perciò a carico del coniuge richiedente l'assegno di mantenimento, ove risulti accertata in fatto la sua possibilità di lavorare, l'onere di dimostrare di essersi inutilmente attivato e proposto sul mercato occupazionale per mettere a frutto le proprie attuali attitudini professionali.

7.2 Se non si presta a censure il criterio utilizzato per determinare l'assegno di mantenimento, risulta invece fondata la critica relativa alla quantificazione dello stesso.

A questo proposito la Corte distrettuale ha ritenuto di dover rideterminare in diminuzione il contributo dovuto dall'Amodio, secondo una misura indicata in motivazione in Euro 400 e in dispositivo in Euro 300. Non è possibile individuare con certezza la reale portata della decisione e superare così l'incoerente indicazione dell'importo dovuto attraverso le argomentazioni svolte in sentenza, le quali, limitandosi a evidenziare gli elementi di fatto tenuti in considerazione per arrivare alla nuova quantificazione, non forniscono spiegazioni chiare per ravvisare la reale volontà del collegio giudicante ed ancorare l'indicazione contenuta in motivazione a un elemento obiettivo che inequivocabilmente la sostenga.

Il carattere insanabile di un simile contrasto tra motivazione e dispositivo determina la nullità della sentenza impugnata, incidendo sull'idoneità del provvedimento a rendere conoscibile il contenuto della statuizione giudiziale a questo proposito (Cass. 26074/2018, Cass. 16014/2017, Cass. 26077/2015).

8. Il quarto motivo di ricorso si duole, ai sensi dell'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, della violazione e falsa applicazione dell'art. 156 c.c., artt. 115 e 116 c.p.c., in quanto la Corte non ha tenuto conto - in tesi - delle circostanze, decisive e discusse fra le parti, costituite dal fatto che la C., prima della nascita della figlia, aveva prestato attività lavorativa unitamente al coniuge negli studi medici di quest'ultimo e dal fatto che lo stesso A., a seguito della nascita della figlia, aveva deciso di far uscire la moglie dal mondo del lavoro, o a ciò si era reso acquiescente, perchè potesse dedicarsi a tempo pieno alla cura della bambina.

Questi elementi assumevano rilevanza perchè un simile accordo spiegava effetti anche dopo la separazione, con il conseguente obbligo per il coniuge occupato di corrispondere un assegno di mantenimento.

9. Il motivo risulta in parte inammissibile, in parte infondato.

La Corte distrettuale non ha affatto trascurato di esaminare le circostanze indicate nella censura in esame ed ha, invece, tenuto ben presente l'attività professionale svolta dall'odierna ricorrente fino alla nascita della figlia e il suo abbandono del lavoro in conseguenza di tale evento per dedicarsi ai "compiti di accudimento" (pag. 11).

Il motivo quindi intende dolersi, più che di un omesso esame di queste circostanze, di un esame erroneo delle stesse, non conforme alle sue aspettative, e in questo modo si pone al di fuori dei limiti propri del canone di critica utilizzato, che riguarda il tralasciato esame di un fatto controverso e decisivo per il giudizio e non si estende all'esame inappagante per la parte di un simile fatto, che rientra nei compiti istituzionali del giudice di merito.

Nè è possibile ravvisare la violazione di legge denunciata, in quanto se in effetti la giurisprudenza di questa Corte ha avuto modo di precisare in passato che "siccome la separazione instaura un regime che tende a conservare il più possibile gli effetti propri del matrimonio compatibili con la cessazione della convivenza e, quindi, anche il "tipo" di vita di ciascuno dei coniugi, se prima della separazione i coniugi hanno concordato - o, quanto meno, accettato - che uno di essi non lavorasse, l'efficacia di tale accordo permane anche dopo la separazione" (Cass. 18547/2006, Cass. 3291/2001), un simile principio può valere a mantenere un assetto che sia il frutto di un concorde indirizzo della vita familiare, ex art. 144 c.c., ma non certo a perpetuare una condizione avvertita dalla stessa ricorrente secondo quanto accertato dal giudice di merito - come un'imposizione.

10. Il quinto motivo di ricorso denuncia, a mente dell'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e falsa applicazione degli artt. 156 e 444 c.c., artt. 545, 115 e 116 c.p.c., perchè la Corte d'appello ha ridotto l'assegno di mantenimento con decorrenza dalla pronuncia di primo grado, malgrado siffatta riduzione non possa retroagire nei suoi effetti a una data diversa da quella di pubblicazione della pronuncia in cui la statuizione è contenuta, dato che il carattere alimentare dell'assegno ne comporta l'irripetibilità, l'impignorabilità e la non compensabilità.

11. Il motivo è inammissibile.

Una cosa, infatti, sono i principi di irripetibilità, impignorabilità e non compensabilità dell'assegno di mantenimento, un'altra, invece, è la sola fissazione della data da cui decorre la riduzione del beneficio. Infatti, nel primo caso si tratta di verificare se la parte che abbia già ricevuto le prestazioni previste dalla sentenza di separazione possa essere costretta a restituirle oppure possa vedersi opporre in compensazione, per qualsivoglia ragione di credito, quanto ricevuto a tale titolo, mentre nel secondo caso viene soltanto individuata la data dal cui decorrere opera la riduzione che il giudice di merito ha inteso stabilire.

Nel caso di specie la Corte distrettuale si è limitata a prevedere la diminuzione dell'assegno con una retrodatazione rispetto al momento in cui la decisione è stata assunta, ma non ha affatto preso in esame la questione della ripetibilità o della compensabilità degli importi eventualmente corrisposti in eccedenza rispetto alla misura rideterminata.

Un simile provvedimento vale perciò a fissare la decorrenza della riduzione dell'assegno di mantenimento, mentre non involge in alcun modo gli effetti della decisione per il caso in cui le statuizioni riformate abbiano già avuto esecuzione.

Ne discende l'inammissibilità, per mancanza di decisività, della critica in esame, che si appunta su questioni estranee al contenuto della decisione impugnata.

12. L'accoglimento del secondo motivo di ricorso comporta l'assorbimento della sesta doglianza (con cui la ricorrente ha lamentato la violazione e falsa applicazione dell'art. 91 c.p.c., e art. 92 c.p.c., comma 2, perchè la Corte distrettuale ha compensato in ragione di un terzo le spese fra le parti condannandola al pagamento della restante porzione, benchè l' A. fosse la parte maggiormente soccombente in considerazione del maggior numero di domande respinte), atteso che la cassazione parziale della decisione impugnata ha effetto, ai sensi dell'art. 336, comma 1, c.p.c., anche sulle parti da essa dipendenti, quale la regolazione delle spese di lite.

13. Il motivo di ricorso incidentale denuncia, ai sensi dell'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, l'omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio, in violazione degli artt. 316 e 337 ter c.c., art. 117 Cost., e art. 8 CEDU, in quanto la Corte d'appello avrebbe fondato la propria statuizione in punto di modalità di affidamento e collocamento della minore senza tener conto delle sue esigenze emerse da ultimo e riportate nella relazione dei servizi sociali del 18 febbraio 2016, al cui interno si era dato atto del rammarico della ragazza per il fatto di non poter più incontrare il genitore il martedì, delle capacità dell' A. di svolgere una funzione di sostegno nella crescita della figlia e della necessità di rivalorizzare l'importanza del ruolo educativo del padre con una maggiore frequenza di visita.

La mancata considerazione del contenuto di questa relazione ha comportato - secondo il ricorrente incidentale - un'ingerenza sproporzionata nel bilanciamento degli interessi coinvolti e una violazione del diritto alla vita familiare della minore e del padre.

14. Il motivo è inammissibile.

Il mancato esame di un documento può essere denunciato per cassazione solo nel caso in cui determini l'omissione di motivazione su un punto decisivo della controversia e, segnatamente, quando il documento non esaminato offra la prova di circostanze di portata tale da invalidare, con un giudizio di certezza e non di mera probabilità, l'efficacia delle altre risultanze istruttorie che hanno determinato il convincimento del giudice di merito, di modo che la ratio decidendi venga a trovarsi priva di fondamento (Cass. 16812/2018, Cass. 19150/2016).

Non assumevano una simile decisività il desiderio espresso dalla minore di tornare a vedere il padre nella giornata di martedì e la segnalata necessità di rivalorizzare la figura paterna con una maggior frequenza, tenuto conto, da una parte, che la modifica era stata disposta a tutela degli interessi della stessa ragazza, in ragione della distanza delle abitazioni dei genitori, dall'altra che la Corte di merito ha espressamente ritenuto che il materiale in suo possesso fosse sufficiente a rappresentare "il pensiero di G. e le sue condizioni in relazione allo stato delle relazioni con entrambi i genitori", tanto da disattendere la richiesta di svolgimento di un'ulteriore C.T.U..

15. Per tutto quanto sopra esposto la sentenza impugnata andrà cassata, in accoglimento del secondo motivo del ricorso principale, con rinvio della causa alla Corte distrettuale, la quale, nel procedere al suo nuovo esame, si atterrà ai principi sopra illustrati.

Il ricorso incidentale deve invece essere dichiarato inammissibile.

La Corte di merito, in sede di rinvio, avrà cura anche di provvedere sulle spese del giudizio di legittimità, ex art. 385 c.p.c., comma 3.

Il ricorso incidentale è esente dal versamento del contributo unificato, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 10, comma 2, di modo che non trova applicazione il disposto del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater.
P.Q.M.

La Corte accoglie il secondo motivo del ricorso principale, dichiara assorbito il sesto, rigetta gli altri, cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia la causa alla Corte di Appello di Roma in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.

Dichiara inammissibile il ricorso incidentale.

In caso di diffusione del presente provvedimento omettere le generalità e gli altri titoli identificativi a norma del D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 52, in quanto imposto dalla legge.

Così deciso in Roma, il 13 aprile 2021.

Depositato in Cancelleria il 21 luglio 2021
Avv. Antonino Sugamele

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