L'addebito per infedeltà non fa scattare automaticamente il riconoscimento dell'assegno di mantenimento
Cass. civ. Sez. VI - 1, Ord., (ud. 27/04/2021) 11-08-2021, n. 22704
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA CIVILE
SOTTOSEZIONE 1
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. VALITUTTI Antonio - Presidente -
Dott. MELONI Marina - rel. Consigliere -
Dott. TRICOMI Laura - Consigliere -
Dott. SCALIA Laura - Consigliere -
Dott. FALABELLA Massimo - Consigliere -
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 9273-2020 proposto da:
P.A., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA GERMANICO 101, presso lo studio dell'avvocato GIUSEPPA (PINUCCIA) CALCATERRA, che la rappresenta e difende;
- ricorrente -
contro
R.A., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA VINCENZO AMBROSIO 4, presso lo studio dell'avvocato ALESSANDRO BELLOMI, che lo rappresenta e difende;
- controricorrente -
avverso la sentenza n. 5552/2019 della CORTE D'APPELLO di ROMA, depositata il 13/09/2019;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non partecipata del 27/04/2021 dal Consigliere Relatore Dott.ssa MELONI MARINA.
Svolgimento del processo
La Corte di Appello di Roma con sentenza in data 13/9/2019 ha parzialmente riformato la sentenza pronunciata dal Tribunale di Roma in data 9/12/2016 in sede di separazione personale tra i coniugi P.A. ed R.A. e in particolare ha dichiarato l'addebito della separazione al marito e confermato che nessun assegno era dovuto dal R. a titolo di contributo al mantenimento a favore della moglie come già stabilito in sede di udienza presidenziale prima e dal Tribunale poi, lasciando altresì immutate le ulteriori statuizioni relativamente al mantenimento dei figli ed all'assegnazione alla P. della casa coniugale.
Avverso tale sentenza ha proposto ricorso in cassazione P.A. affidato a due motivi.
R.A. resiste con controricorso.
Motivi della decisione
Con il primo motivo di ricorso, la ricorrente denuncia nullità della sentenza per violazione e falsa applicazione dell'art. 113 c.p.c. e 156 c.c. in riferimento all'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, in quanto il giudice territoriale, senza tener conto della disparità delle situazioni economiche delle parti, non aveva posto alcun assegno di mantenimento a carico del R. per la mogli P.A.. Con il secondo motivo di ricorso la ricorrente denunciano nullità della sentenza per violazione e falsa applicazione dell'art. 156 c.c. in riferimento all'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 per avere la Corte di Appello in riforma della sentenza di primo grado addebitato la separazione al R. in quanto il matrimonio era fallito a causa della relazione extraconiugale del marito e ciò nonostante non ha riconosciuto alla moglie alcun assegno.
Il primo e secondo motivo del ricorso sono inammissibili in quanto riguardano questioni di merito già ampiamente esaminate.
In tema di determinazione del "quantum" dell'assegno di mantenimento, la valutazione delle condizioni economiche delle parti non richiede necessariamente l'accertamento dei redditi nel loro esatto ammontare, essendo sufficiente un'attendibile ricostruzione delle complessive situazioni patrimoniali e reddituali dei coniugi (Cass. 975/2021; Cass. 605/2017), nella specie motivatamente effettuata dalla Corte d'appello. La motivazione della sentenza di appello infatti non rinvia acriticamente alla decisione di prime cure, essendo la Corte pervenuta al convincimento che tale decisione fosse da condividere, poichè adeguata alle condizioni, economiche delle parti l'uno magistrato, l'altra funzionario giudiziario. In altri termini, la decisione relativa al mancato assegno di mantenimento della moglie è stata adottata dalla Corte condividendo, sì, la decisione del primo giudice, ma all'esito di una comparazione delle condizioni reddituali di entrambi i coniugi, che la ha indotta a ritenere che ambedue i coniugi fossero autosufficienti e che fosse rispettato il pregresso tenore di vita.
Infatti la ricorrente svolge attività lavorativa di funzionario giudiziario e percepisce come stipendio la somma mensile di Euro 1875,00 con trattenuta mensile di Euro 204,00 per un prestito INPDAP. La ricorrente è poi assegnataria della casa coniugale mentre per i due figli ormai maggiorenni il padre provvede al pagamento degli studi universitari ed alle loro esigenze nella misura di 600,00 Euro al mese per ciascuno più metà delle spese straordinarie stante la mancanza di autonomia economica. A tal riguardo in tema di separazione personale dei coniugi, ai fini dell'accertamento del diritto all'assegno di mantenimento e della sua determinazione occorre considerare la complessiva situazione di ciascuno dei coniugi e, quindi, tener conto, oltre che dei redditi in denaro, di ogni altra utilità economicamente valutabile, ivi compresa la disponibilità, della casa coniugale (Cass. 19291/2005).
Il R., a sua volta, pur godendo di uno stipendio di 8300,00 Euro deve pagare un canone di locazione oltre a far fronte alle spese del mutuo della casa coniugale ed alle rate di un prestito contratto per la sistemazione del proprio attuale alloggio.
La non addebitabilità della separazione al coniuge richiedente, e l'addebito all'altro, non determinano automaticamente il riconoscimento dell'assegno di mantenimento in suo favore, dovendo concorrere anche gli altri presupposti, previsti dall'art. 156 c.c., costituti dalla mancanza, per il beneficiario, di adeguati redditi propri e nella sussistenza di una disparità economica fra i due coniugi (Cass. 5251/2017).
La pronuncia impugnata merita quindi di essere confermata.
Alla luce dell'orientamento di questa Corte in materia e tenuto conto che tutte le circostanze evidenziate nel ricorso sono già emerse nei precedenti gradi di giudizio e risultano essere già state prese in considerazione dal giudice di merito risulta quindi infondata l'istanza di assegno di mantenimento per la moglie.
Il ricorso è pertanto infondato in ordine a tutti i motivi e deve essere respinto con condanna della soccombente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità. Ricorrono i presupposti per l'applicazione del doppio contributo di cui all'art. 13 comma 1 quater D.P.R. n. 115 del 2002 ove dovuto.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità in favore del controricorrente che liquida in Euro 4.100,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 100,00 ed agli accessori di legge. Si omettono i dati personali in caso di diffusione.
Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, ricorrono i presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.
In caso di diffusione del presente provvedimento omettere le generalità e gli altri dati identificati, a norma del D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 52.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della sesta sezione della Corte di Cassazione, il 27 aprile 2021.
Depositato in Cancelleria il 11 agosto 2021
25-09-2021 15:43
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