Il rapporto confidenziale del marito con un’altra donna è elemento sufficiente per dare alla moglie la certezza di essere stata tradita.
Corte di Cassazione, sez. I Civile, ordinanza 30 gennaio – 6 agosto 2020, n. 16735
Presidente Valitutti – Relatore Solaini
Rilevato che:
La Corte d'appello di Potenza con sentenza n. 3031/15 ha rigettato l'appello proposto da Cu. Gi. avverso la decisione del tribunale di Potenza che aveva dichiarato, per quanto ancora d'interesse nel presente giudizio, la separazione dei coniugi addebitandola all'odierno ricorrente, così rigettando la domanda di mantenimento proposta da quest'ultimo nei confronti di Tr. Vi..
A sostegno della decisione di rigetto, la Corte territoriale ha fondato l'addebito sulla deposizione del detective che ha richiamato il proprio rapporto informativo in merito alla frequentazione di una donna da parte del Cu. con la quale egli aveva intrattenuto un rapporto "confidenziale" reputato dalla Tr. sintomatico del comportamento "infedele" dell'odierno ricorrente. All'addebito era conseguito il rigetto della domanda di mantenimento. Inoltre, l'assegnazione della casa coniugale alla moglie Tr. Vi. era giustificata dalla convivenza di quest'ultima con la figlia maggiorenne ma non ancora autosufficiente, mentre, il Cu. era stato reputato idoneo (nonostante le sue condizioni di salute) ad abitare la casa di campagna, pur necessitante di qualche lavoro di ristrutturazione.
Per la cassazione di tale sentenza ha proposto ricorso Cu. Gi. nei confronti di Tr. Vi. affidato a cinque motivi, mentre, Tr. Vi. ha resistito con controricorso.
Considerato che:
Con il primo motivo, il ricorrente deduce il vizio di violazione degli artt. 143 e 151 primo e secondo comma, in relazione all'art. 360 primo comma nn. 3 e 5 c.p.c. in quanto erroneamente, la Corte territoriale aveva addebitato la separazione in capo al Cu. sulla base di "uno scarno rapporto informativo" che non può costituire prova neppure se confermato dall'investigatore che l'aveva redatto. Con un secondo motivo, il ricorrente prospetta la violazione degli artt. 155 e 156 comma primo e secondo, in relazione all'art. 360 primo comma n. 3 e 5 c.p.c. in quanto erroneamente, la Corte d'appello aveva fatto discendere dall'attribuzione dell'addebito della separazione in capo all'odierno ricorrente l'insussistenza del diritto a suo favore ed a carico di Tr. Vi., della corresponsione di un assegno alimentare (art. 433 c.c.), e ciò, in quanto il Cu. essendo inabile al lavoro, poteva usufruire solo di una pensione di invalidità, non sufficiente per soddisfare i bisogni primari.
Con il terzo motivo, il ricorrente lamenta la violazione degli artt. 155 e 156 primo e secondo comma, in relazione all'art. 360 primo comma nn. 3 e 5 c.p.c. in quanto la casa coniugale era stata assegnata a Tr. Vi. sulla base di un'erronea interpretazione di una perizia di parte secondo cui il collegio aveva ritenuto che il Cu. poteva, con una semplice manutenzione ordinaria abitare la casa di campagna, senza procedere alla divisione della casa familiare che attesi i difficili rapporti, poteva creare ulteriori tensioni.
Con il quarto motivo, il ricorrente denuncia il vizio di violazione di legge, in particolare dell'art. 115 c.p., in relazione all'art. 360 primo comma n. 5 c.p.c. perché la Corte d'appello aveva omesso qualsivoglia motivazione in ordine al rigetto della richiesta di ammissione di una CTU riguardante la fattibilità della divisione dell'immobile di proprietà esclusiva dell'attuale ricorrente e delle condizioni di non abitabilità della casa rurale.
Con il quinto motivo, il ricorrente deduce il vizio di violazione degli artt. 91 comma 1 c.p.c. nonché del D.M. n. 55/14, degli artt. 1, 5 e 6 del D.M. n. 140/12 nonché dell'art. 2233 primo e secondo comma, in relazione all'art. 360 primo comma n. 5 c.p.c. sull'erronea regolamentazione delle spese in entrambi i gradi di giudizio. Il primo motivo (addebito della separazione) è infondato ed in parte inammissibile. Infatti, grava sulla parte che richieda, per l'inosservanza dell'obbligo di fedeltà, l'addebito della separazione all'altro coniuge, l'onere di provare la relativa condotta e la sua efficacia causale nel rendere intollerabile la prosecuzione della convivenza, mentre è onere di chi eccepisce l'inefficacia dei fatti posti a fondamento della domanda, e quindi dell'infedeltà nella determinazione dell'intollerabilità della convivenza, provare le circostanze su cui l'eccezione si fonda, vale a dire l'anteriorità della crisi matrimoniale all'accertata infedeltà Cass. 3923/2018; Cass. 2059/2012).
Nella specie, l'infedeltà del Cu. - contrariamente a quanto assume l'istante - è stata ritenuta comprovata dalla Corte sulla base della testimonianza dell'investigatore privato, la cui relazione è stata confermata in udienza, assurgendo al valore di prova piena (Cass. 24976/2017), e sul rilievo che i fatti ivi esposti non sono contestati dall'appellante (odierno ricorrente). Inoltre, nessuna prova ha fornito quest'ultimo circa la preesistenza di una crisi matrimoniale al tradimento posto in essere. Né il ricorrente indica nel ricorso le prove che sul punto ha fornito nel giudizio di merito, e le contestazioni mosse alla relazione investigativa, per cui il motivo difetta anche di autosufficienza.
Il secondo motivo resta assorbito dal rigetto del primo (accertamento dell'addebito), stante il disposto dell'art. 156, primo comma, cod. civ., quanto all'assegno di mantenimento, mentre la questione degli alimenti - domanda che può essere proposta in appello, ma non certo per la prima volta in cassazione - appare proposta per la prima volta in questa sede, avendo il Cu. chiesto in appello (ed in prime cure) un assegno di mantenimento (sentenza di appello, pp. 3 e 6 e ricorso p. 19, ove si riporta il quinto motivo di appello), e perciò è inammissibile. Infatti, secondo la giurisprudenza di questa Corte, i motivi del ricorso per cassazione devono investire, a pena di inammissibilità, questioni che siano già comprese nel giudizio d'appello, non essendo prospettabili per la prima volta in sede di legittimità questioni nuove o nuovi temi di contestazione non trattati nella fase di merito, tranne che non si tratti di questioni rilevabili d'ufficio (Cass., 17/01/2018, n. 907; Cass., 09/07/2013, n. 17041). Il terzo motivo è inammissibile.
L'art. 360, comma 1, n. 5, cod. proc. civ., come riformulato dall'art. 54 del D.L. n. 83 del 2012, conv., con modifiche, dalla legge n. 134 del 2012, introduce, invero, nell'ordinamento un vizio specifico denunciabile per cassazione, relativo all'omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, nel cui paradigma non è inquadrabile la censura concernente la omessa valutazione di deduzioni difensive. Non è censurabile, pertanto, in cassazione l'omessa, o non corretta, valutazione delle risultanze della consulenza tecnica di parte, atteso che questa, nonostante il suo contenuto tecnico e a differenza della consulenza tecnica d'ufficio, costituisce una semplice allegazione difensiva, priva di autonomo valoro probatorio (Cass., 18/10/2018, n. 26305; Cass., 14/06/2017, n. 14802).
Il quarto motivo è inammissibile.
In tema di ricorso per cassazione, una questione di violazione o di falsa applicazione degli artt. 115 e 116 c.p.c. non può porsi per una erronea valutazione del materiale istruttorio compiuta dal giudice di merito, ma, rispettivamente, solo allorché si alleghi che quest'ultimo abbia posto a base della decisione prove non dedotte dalle parti, ovvero disposte d'ufficio al di fuori dei limiti legali, o abbia disatteso, valutandole secondo il suo prudente apprezzamento, delle prove legali, ovvero abbia considerato come facenti piena prova, recependoli senza apprezzamento critico, elementi di prova soggetti invece a valutazione (Cass., 27/12/2016, n. 27000; Cass., 17/01/2019, n. 1229). Nella specie nessuna di tali situazioni risulta allegata, dolendosi il ricorrente dell'omessa disposizione di varie c.t.u, la cui ammissione rientra nel potere discrezionale del giudice di merito (Cass. 15219/2007; Cass. 9461/2010).
Il quinto motivo (sulle spese) è infondato, infatti il giudice d'appello ha condannato l'appellante alle spese, ex art. 91 c.p.c. essendo risultato totalmente soccombente, ed ha motivato sul quantum delle spese, indicato la tariffa ed i valori applicati.
Le spese di lite seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.
P.Q.M.
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
Rigetta il ricorso.
Condanna il ricorrente a pagare a Tr. Vi. le spese di lite del presente giudizio che liquida nell'importo di Euro 6.000,00, oltre Euro 200,00 per esborsi, oltre il 15% per spese generali, oltre accessori di legge.
Ai sensi dell'art. 13 comma 1 quater del D.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, ove dovuto, da parte del ricorrente dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello corrisposto per il ricorso, a norma del comma 1 - bis dello stesso articolo 13.
Dispone, ai sensi del D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 52, che in caso di diffusione della presente ordinanza si omettano le generalità e gli altri dati identificativi delle parti.
08-08-2020 11:39
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