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Sentenza

Separazioni e divorzi. Chi paga l'IMU e chi paga la TASI?
Separazioni e divorzi. Chi paga l'IMU e chi paga la TASI?
Il coniuge che dopo la separazione o il divorzio si vede assegnare la casa non paga l'Imu, ma deve versare la Tasi in formula piena. 
Lo stesso accade per le abitazioni date in comodato gratuito a figli o genitori, mentre nel caso di immobili ini comproprietà tutti i proprietari sono obbligati «in solido» al tributo, da calcolare in base alle quote di possesso e alla condizione di occupante o meno: l'occupante-possessore pagherà con l'aliquota delle abitazioni principali, gli altri con quella prevista per gli immobili diversi. Come l'Imu, poi, l'unità di misura del possesso è un mese anche per la Tasi, e il mese è considerato solo quando il possesso è stato esercitato per almeno 15 giorni.
Cominciano a chiarirsi le interpretazioni ministeriali su molti degli aspetti controversi del nuovo tributo, grazie alle risposte che in questi giorni il ministero dell'Economia ha inviato (ma non ancora pubblicato) ai quesiti posti dalla consulta dei Caf, i centri di assistenza fiscale. E ancora una volta emergono le complicazioni, oltre ai possibili effetti paradossali, che nascono dagli incroci pericolosi fra Imu e Tasi sullo stesso immobile.
Un caso evidente è quello della casa assegnata al coniuge dopo separazione o divorzio. Le regole dell'Imu ne prevedono l'assimilazione all'abitazione principale, e questo per la vecchia imposta municipale è un bene perché l'abitazione non paga l'Imu. Nella Tasi, però, la situazione si ribalta, perché il tributo sui servizi indivisibili è spesso più pesante sull'abitazione principale che sugli altri immobili, perché questi ultimi hanno l'Imu. Risultato: il coniuge assegnatario, se sarà confermata la sovrapposizione fra le regole Imu e quelle Tasi, non pagherà l'IMU, ma si dovrà sobbarcare tutta la Tasi.
Una prospettiva simile riguarda le case assegnate in comodato gratuito ai figli o ai genitori. Dopo mesi di proteste da parte dei proprietari che si vedevano trattare come seconda casa l'appartamento concesso per esempio al figlio privo di mezzi per pagarsi un affitto, l'ultima legge di stabilità ha consentito di assimilare i comodati, ma solo per le case con rendita catastale fino a 500 euro (oppure se l'Isee famigliare non supera i 15mila euro). Il ministero ora permette l'assimilazione anche di case con rendita superiore, trattando i 500 euro come una sorta di franchigia. Per capirne l'effetto, si può considerare un appartamento con rendita da 750 euro (quindi 126mila euro di base imponibile): il proprietario dovrà pagare l'Imu con l'aliquota prevista per l'abitazione principale sui 250 euro che superano la franchigia, e la Tasi (sempre con aliquota per l'abitazione principale, in genere più alta di quella per gli altri immobili) sull'intera base imponibile. In questo caso, il conto potrebbe arrivare a 760 euro (315 di Tasi più 445 dell'Imu extra-franchigia): certo, si tratta di una somma un po' più leggera rispetto a quella dell'Imu "ordinaria", ma la salvaguardia fiscale verrebbe di fatto abbandonata subito dopo averla ottenuta sulla carta.
Importanti i chiarimenti per i comproprietari, per esempio nel caso di un appartamento posseduto da tre fratelli e abitato solo da uno di questi. Secondo le istruzioni ministeriali, il pagamento dipende dalla quota di proprietà e dalla condizione di abitante o meno del proprietario: in altre parole, il fratello che abita l'appartamento pagherà sulla propria quota la Tasi con l'aliquota (e l'eventuale detrazione, intera) prevista per l'abitazione principale, e gli altri con quella riservata agli immobili diversi. Attenzione, però, i comproprietari sono «obbligati in solido», quindi il Comune può chiedere a uno dei fratelli anche le quote di Tasi che gli altri non hanno versato.
Avv. Antonino Sugamele

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