La sentenza di divorzio ha causa petendi e petitum diversi da quelli della domanda di nullità del matrimonio concordatario, investendo il matrimonio-rapporto e non l’atto con il quale è stato costituito il vincolo tra i coniugi.
Corte di Cassazione, sez. I Civile, sentenza 29 aprile – 21 maggio 2014, n. 11226
Presidente Luccioli – Relatore Didone
Ragioni di fatto e di diritto della decisione
1. - Con la sentenza impugnata (depositata il 31 maggio 2012) la Corte di appello di Bologna ha dichiarato l'efficacia in Italia della sentenza emessa in data 28.5.2002 dal Tribunale Ecclesiastico Regionale Emiliano, confermata dal Tribunale Apostolico della Rota Romana con decreto in data 8.5.2003, resa esecutiva con decreto in data 18.11.2006 dal Supremo Tribunale della Segnatura Apostolica, con la quale è stata dichiarata la nullità del matrimonio concordatario celebrato nel 1975 tra B.S. e L.A., per esclusione della prole da parte di entrambi i coniugi.
Contro la sentenza di delibazione A.L. ha proposto ricorso per cassazione affidato a due motivi.
Resiste con controricorso S.B.. Nel termine di cui all'art. 378 c.p.c. parte ricorrente ha depositato memoria.
2. - Con i motivi di ricorso la ricorrente denuncia il contrasto con precedente giudicato (sentenza che ha pronunciato la cessazione degli effetti civili del matrimonio) e violazione degli artt. 697 c.p.c. e 64 l. n. 218/1995. Formula, sebbene non richiesto per l'avvenuta abrogazione dell'art. 366 bis c.p.c., i quesiti di seguito trascritti soltanto per ragioni di sintesi:
a) se i rapporti tra giurisdizione ecclesiastica e giurisdizione civile sono disciplinati sulla base del principio di prevenzione in favore della giurisdizione civile, con la conseguenza che la pendenza di un giudizio di divorzio comporta l'avvenuta devoluzione alla giurisdizione civile della questione (sia pure solo meramente incidentale) della validità del vincolo e quindi esclude ed impedisce la proposizione della domanda di riconoscimento della sentenza del Tribunale Ecclesiastico.
b) se può essere delibata e quindi riconosciuta nell'ordinamento giuridico italiano la sentenza ecclesiastica che dichiara la nullità del matrimonio canonico per esclusione della prole, dopo il passaggio in giudicato della sentenza del Giudice Italiano che ha stabilito la cessazione degli effetti civili del matrimonio concordatario e dopo il passaggio in giudicato della sentenza del Giudice Italiano che ha statuito sulle conseguenze economiche del divorzio e quindi sull'assegno di mantenimento a favore del coniuge più debole economicamente;
c) se può essere delibata e quindi riconosciuta nell'ordinamento giuridico italiano la sentenza ecclesiastica che dichiara la nullità del matrimonio canonico per esclusione della prole quando tale motivo non è conosciuto dalla moglie e non era da questa conoscibile essendo in buona fede e quindi se tale sentenza è contraria all'ordine pubblico;
d) se può essere delibata e quindi riconosciuta nell'ordinamento giuridico italiano la sentenza ecclesiastica che dichiara la nullità del matrimonio canonico per esclusione della prole quando tale motivo non è riconosciuto come motivo di nullità nell'ordinamento giuridico italiano».
3. - In ordine al primo motivo (censure di cui ai quesiti sub a e b), va ricordato che secondo la giurisprudenza di questa Corte la sentenza di divorzio ha "causa petendi" e "petitum" diversi da quelli della domanda di nullità del matrimonio concordatario, investendo il matrimonio-rapporto e non l'atto con il quale è stato costituito il vincolo tra i coniugi, per cui se, nel relativo giudizio, non sia espressamente statuito in ordine alla validità del matrimonio - con il conseguente insorgere delle questioni poste dalla statuizione contenuta nell'art. 8, comma secondo, lett. c), dell'Accordo del 18 febbraio 1984 tra Stato italiano e Santa Sede - non è impedita la delibazione della sentenza del tribunale ecclesiastico che abbia dichiarato la nullità del matrimonio concordatario, in coerenza con gli impegni assunti dallo Stato italiano e nei limiti di essi (Sez. 1, n. 12989/2012).
Quanto alle rimanenti cesure (sub c e d), va ricordato che la dichiarazione di nullità da parte del giudice ecclesiastico del matrimonio religioso per esclusione da parte di un coniuge di uno dei bona matrimoniali, quale quello relativo alla prole, e cioè per una ragione diversa da quelle di nullità previste per il matrimonio civile dal nostro ordinamento, non è sufficiente per negare l'esecutività della sentenza ecclesiastica, quando quella esclusione, sia pure unilaterale, sia stata portata a conoscenza dell'altro coniuge prima della celebrazione del matrimonio, o se questo coniuge ne abbia comunque preso atto, ovvero quando vi siano stati elementi rivelatori di quell'atteggiamento psichico non percepiti dall'altro coniuge solo per sua colpa grave, da valutarsi in concreto (Sez. 1, n. 5261/1984). Nella concreta fattispecie, la Corte di appello ha accertato - alla stregua della decisione ecclesiastica - che, sia pure con diverse motivazioni, entrambi i coniugi contrassero il matrimonio "prevenuti rispetto alla procreazione" e il convincimento del giudice di merito ai fini della decisione ed, in particolare, l'affermazione o l'esclusione, ad opera di quest'ultimo, che la riserva mentale di uno dei coniugi relativa ad uno dei bona matrimonii fosse conosciuta (o, comunque, conoscibile con l'uso della normale diligenza) da parte dell'altro, costituisce, se motivata secondo un logico e corretto iter argomentativo, statuizione insindacabile in sede di legittimità, ove non è lecito proporre, sotto il surrettizio profilo del preteso vizio di motivazione (nella specie neppure dedotto), doglianze in ordine all'apprezzamento dei fatti e delle prove operato dal giudice di merito, proponendone altri, diversi ed alternativi, rispetto a quello censurato (Cass. 2 settembre 1997, n. 8386; Cass. 4 luglio 1998, n. 6551; Sez. 1, Sentenza n. 24047 del 2006).
Infine, quanto alla ostatività alla delibazione della sentenza ecclesiastica di nullità del matrimonio concordatario derivante dalla durata del matrimonio - dedotta tardivamente soltanto con la memoria ex art. 378 c.p.c. - va rilevato che la circostanza è irrilevante in sé, laddove non sia dedotta e provata, nella fase di delibazione della sentenza ecclesiastica, l'effettiva convivenza dei coniugi nello stesso periodo (v., per tutte, Sez. 1, n. 9844/2012).
Il ricorso, dunque, deve essere rigettato.
Le spese del giudizio di legittimità - nella misura liquidata in dispositivo - vanno poste a carico solidale dei ricorrenti.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità che liquida in complessivi euro 4.200,00 di cui euro 200,00 per esborsi oltre accessori e spese forfettarie come per legge.
In caso di diffusione del presente provvedimento omettere le generalità e gli altri dati identificativi delle parti a norma dell'art. 52 d.lgs. 196/03 in quanto imposto dalla legge.
23-05-2014 04:26
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