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Sentenza

Assegno di mantenimento. L'omesso versamento è reato anche se ha provveduto ai bisogni del minore l'altro coniuge.
Assegno di mantenimento. L'omesso versamento è reato anche se ha provveduto ai bisogni del minore l'altro coniuge.
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE                   
                        SEZIONE SESTA PENALE                         
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:                            
Dott. AGRO'     Antonio         -  Presidente   -                    
Dott. CITTERIO  Carlo           -  Consigliere  -                    
Dott. DI SALVO  Emanuele        -  Consigliere  -                    
Dott. APRILE    Ercole          -  Consigliere  -                    
Dott. DE AMICIS Gaetano    -  rel. Consigliere  -                    
ha pronunciato la seguente:                                          
                     sentenza                                        
sul ricorso proposto da: 
1)            L.T.G. N. IL (OMISSIS); 
avverso  la  sentenza  n.  3604/2010 CORTE  APPELLO  di  NAPOLI,  del 
25/11/2010; 
visti gli atti, la sentenza e il ricorso; 
udita  in  PUBBLICA  UDIENZA del 18/07/2012 la  relazione  fatta  dal 
Consigliere Dott. GAETANO DE AMICIS; 
Udito  il  Procuratore Generale in persona del Dott. Aldo Policastro, 
che  ha concluso per l'annullamento senza rinvio perchè il reato  è 
estinto per prescrizione. 
                 

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RITENUTO IN FATTO
1. Con sentenza pronunciata il 25 novembre 2010 la Corte d'appello di Napoli ha confermato la sentenza emessa il 27 maggio 2009 dal Tribunale di Santa Maria Capua Vetere, che condannava L.T. G. alla pena di mesi quattro di reclusione ed Euro 200,00 di multa - oltre al risarcimento dei danni da liquidare in separata sede e al pagamento di una provvisionale di Euro 1.000,00 in favore della parte civile S.E. - in ordine al reato di cui all'art. 570 c.p., comma 1, commesso fino al dicembre del 2001 per non avere ottemperato all'obbligo di corrispondere, a titolo di concorso nel mantenimento della figlia minore, l' assegno mensile disposto con sentenza di separazione passata in giudicato, così facendole mancare i mezzi di sussistenza.
2. Avverso la predetta sentenza della Corte d'appello di Napoli ha proposto ricorso per cassazione il difensore di fiducia dell'imputato, che ha dedotto al riguardo due motivi di doglianza:
a) inosservanza o erronea applicazione della legge penale ai sensi dell'art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b), non avendo la Corte territoriale correttamente effettuato il computo del decorso del termine prescrizionale previsto per l'estinzione del reato, con la conseguenza che alla data della sentenza di secondo grado il termine di legge per dichiarare l'estinzione del medesimo era abbondantemente decorso;
b) inosservanza o erronea applicazione della legge penale, o di altre norme giuridiche di cui si deve tener conto nella sua applicazione, ai sensi dell'art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b), poichè la Corte di merito avrebbe disatteso i motivi di gravame con cui la difesa aveva chiesto l'assoluzione dell'imputato, provvedendo a riqualificare la mera inadempienza civilistica, di per sè penalmente irrilevante, come reato previsto e punito dall'art. 570 c.p., comma 1 e 2, senza accertare l'effettivo stato di bisogno dell'avente diritto alla somministrazione dei mezzi di sussistenza e senza tenere in considerazione le reali capacità economiche dell'altra persona obbligata a fornirli.
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CONSIDERATO IN DIRITTO
3. Il ricorso è inammissibile, in quanto manifestamente infondato.
4. Preliminarmente, occorre precisare che al fine della verifica della consistenza dei rilievi mossi alla sentenza della Corte d'appello, siffatta decisione non può essere isolatamente valutata, ma deve essere esaminata in stretta correlazione con la sentenza di primo grado, dal momento che l'iter motivazionale di entrambe si dispiega secondo l'articolazione di sequenze logico-giuridiche pienamente convergenti (Sez. 4, n. 15227 del 14/02/2008, dep. 11/04/2008, Rv. 239735). Nel caso portato alla cognizione di questa Corte, in particolare, ci si trova di fronte a due pronunzie, di primo e secondo grado, che concordano nell'analisi e nella valutazione degli elementi di prova posti a fondamento delle conformi rispettive decisioni, con una struttura motivazionale della sentenza di appello che si salda perfettamente con quella precedente, sì da costituire un corpo argomentativo uniforme e privo di lacune, in considerazione del fatto che l'impugnata sentenza ha comunque offerto una congrua e ragionevole giustificazione del finale giudizio di colpevolezza.
4.1. Ne discende che l'esito del giudizio di responsabilità non può essere invalidato da prospettazioni alternative del ricorrente, che si risolvano in una "mirata rilettura" degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione, ovvero nell'autonoma assunzione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti, da preferirsi a quelli adottati dal giudice del merito, perchè illustrati come maggiormente plausibili, o perchè assertivamente dotati di una migliore capacità esplicativa, nel contesto in cui la condotta delittuosa si è in concreto esplicata (Sez. 6, n. 22256 del 26/04/2006, dep. 23/06/2006, Rv. 234148; Sez. 1, n. 42369 del 16/11/2006, dep. 28/12/2006, Rv. 235507).
5. L'impugnata decisione, invero, fa buon governo della legge penale e riposa su un apparato argomentativo che, in stretta aderenza alle emergenze procedimentali, da conto, in maniera adeguata e logica, delle ragioni che giustificano la conclusione alla quale perviene, rispondendo - peraltro - puntualmente alle deduzioni ed ai rilievi formulati dalla difesa in sede di appello. Il secondo motivo di ricorso si risolve, sostanzialmente, nella riproposizione dei medesimi profili di doglianza già dibattuti nel precedente giudizio di merito, senza tuttavia procedere ad una confutazione del percorso argomentativo seguito dalla Corte territoriale, ovvero ad evidenziarne passaggi contraddittori o manifestamente illogici, tali da disarticolarne la complessiva solidità dell'impianto motivazionale.
AI riguardo, infatti, la Corte d'appello si è fedelmente attenuta al consolidato quadro di principi da tempo scolpiti da questa Suprema Corte, secondo cui integra il reato di violazione degli obblighi di assistenza familiare il genitore separato che ometta anche solo parzialmente il versamento in favore dei figli minori di quanto stabilito. Entrambi i genitori infatti sono tenuti ad ovviare allo stato di bisogno del figlio che non sia in grado di procurarsi un proprio reddito. Ne consegue che il reato de quo sussiste anche quando uno dei genitori ometta la prestazione dei mezzi di sussistenza in favore dei figli minori o inabili, ed al mantenimento della prole provveda in via sussidiaria l'altro genitore (Sez. 6, n. 8912 del 04/02/2011, dep. 07/03/2011, Rv. 249639), atteso che tale sostituzione comunque non elimina lo stato di bisogno in cui versa il soggetto passivo del quale, viceversa, costituisce la prova (Sez. 6, n. 37419 del 21/09/2001, dep. 17/10/2001, Rv. 220713).
6. Del tutto destituito di fondamento, infine, devesi ritenere il primo motivo di doglianza, ove si consideri che il decorso del termine prescrizionale massimo, ex arrt. 157-160-161 c.p., comma 2, va correttamente individuato, in ragione del titolo di reato e della relativa data di consumazione (dicembre 2001), nel giugno del 2009, limite temporale, questo, cui devono aggiungersi i periodi di sospensione evidenziati nel calcolo correttamente operato dalla Corte d'appello, la cui sommatoria ammonta ad anni 2, mesi 3 e giorni 11 (tenuto conto dell'errore materiale ictu oculi ravvisabile nel computo del periodo di astensione rilevato dal 16 dicembre 2008 al 1 aprile 2009, pari a complessivi mesi tre e giorni 15, e non, come ritenuto in sentenza, a mesi cinque e giorni 20), con la conseguenza che il termine di prescrizione sarebbe spirato ben oltre la pronuncia di secondo grado, ossia l'11 ottobre 2011 (dovendosi considerare, peraltro, correttamente inserito nel computo anche il periodo sospensivo di mesi due intervenuto, su concorde richiesta delle parti, nel lasso temporale intercorrente fra il 21 febbraio 2007 ed il 29 giugno 2007, avuto riguardo al pacifico insegnamento da ultimo espresso sul punto da Sez. 5, n. 14461 del 02/02/2011, dep. 11/04/2011, Rv. 249847).
In ogni caso deve ribadirsi, sul punto, il principio autorevolmente espresso in questa Sede, secondo cui l'inammissibilità del ricorso per cassazione dovuta alla manifesta infondatezza dei motivi non consente il formarsi di un valido rapporto di impugnazione e preclude il decorso ulteriore della prescrizione per l'irrevocabilità della pronuncia d'appello, non consentendo sia di far valere, sia di rilevare d'ufficio la presenza di eventuali cause di non punibilità a norma dell'art. 129 c.p.p., ivi compresa l'estinzione del reato per prescrizione (Sez. Un., n. 32 del 22/11/2000, dep. 21/12/2000, Rv.
217266; Sez. Un., n. 23428 del 22/03/2005, dep. 22/06/2005, Rv.
231164).
7. Alle su esposte considerazioni consegue, pertanto, la declaratoria di inammissibilità del ricorso, con la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento e di una somma in favore della Cassa dette ammende, che si stima equo fissare nella misura in dispositivo indicata.
(Torna su   ) P.Q.M.
P.Q.M.
dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1.000,00 in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma, il 18 luglio 2012.
Depositato in Cancelleria il 24 luglio 2012
Avv. Antonino Sugamele

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