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Sentenza

Non va riconosciuto l'assegno divorzile all'ex moglie se il nuovo compagno è divenuto un riferimento per suo figlio.
Non va riconosciuto l'assegno divorzile all'ex moglie se il nuovo compagno è divenuto un riferimento per suo figlio.
Cass. civ., sez. I, ord., 31 gennaio 2023, n. 2840

Presidente Genovese – Relatore Conti

Fatti e ragioni della decisione

La Corte di appello di Genova, con sentenza n. 70/2019, pubblicata il 4.7.2019, in parziale accoglimento dell'appello principale proposto da S.D. , elevava l'assegno posto a carico dell'ex coniuge C.P. in favore del figlio e, per il resto rigettava l'impugnazione confermando la statuizione del Tribunale di Genova che aveva respinto la domanda di assegno di divorzio, dalla medesima avanzata in ragione del fatto che la donna, già dall'epoca successiva alla separazione - allorché aveva solo 38 anni -, non si era ancora attivata per trovare un'attività confacente alle sue attitudini professionali, preferendo dedicarsi, come aveva puntualmente ritenuto il giudice di primo grado, al volontariato e all'attività politica. Mancando del tutto, nel caso concreto, la funzione assistenziale dell'assegno di divorzio, in relazione al comportamento della donna, era irrilevante che la S. si fosse trasferita in […] per seguire il marito, essendo la stessa all'epoca ancora molto giovane e avendo la possibilità di ricollocarsi sul mercato del lavoro. Peraltro, anche a volere accreditare la tesi che il C. avesse interferito con le scelte della moglie, al fine di impedire l'inserimento della S. nel mondo del lavoro, risultava decisiva la circostanza che per ben quindici anni dopo la separazione la predetta non avesse cercato alcuna attività lavorativa, dovendo la funzione perequativo-compensativa necessariamente coesistere con quella esistenziale al fine di evitare rendite di posizione ormai inconciliabili con il definitivo scioglimento del vincolo coniugale.

Aggiungeva poi la Corte di appello che gli elementi raccolti nel corso del giudizio deponevano per l'esistenza di una convivenza di fatto della S. con il C. , definitosi suo compagno e indicato dai consulenti tecnici come persona di riferimento per il piccolo G. , nato in costanza di matrimonio, da quando lo stesso aveva quattro anni - come dichiarato dal C. medesimo - non potendosi dunque dubitare della saldezza del legame tra quest'ultimo e la S. , con il conseguente definitivo venir meno del diritto all'assegno divorzile, in base ai principi espressi da Cass. n. 6855 del 2015.

La S. ha proposto ricorso per cassazione, affidato a due motivi, al quale ha resistito il C. con controricorso.

La causa è stata posta in decisione all'udienza del 23 gennaio 2023.

Con il primo motivo di ricorso la S. deduce la violazione della l.n. 898 del 1970, art. 5. La Corte di appello avrebbe errato nel considerare quale causa di esclusione dell'assegno di divorzio la mancata attivazione della ricorrente per la ricerca di un'idonea attività lavorativa, tralasciando di considerare che la stessa aveva svolto attività saltuarie di vario genere fino all'anno 2012, non potendosi quindi ritenere l'esistenza di un'inerzia colpevole nella ricerca di un'attività lavorativa, che peraltro la Corte di appello avrebbe erroneamente considerato unicamente valutando le pregresse attività lavorativa di contabile della ricorrente. Inoltre, la Corte di appello avrebbe totalmente tralasciato di considerare l'incidenza, ai fini del riconoscimento dell'assegno di divorzio, delle circostanze che avevano indotto la ricorrente a lasciare l'attività lavorativa svolta prima del trasferimento in […], decisione maturata per agevolare lo sviluppo della carriera militare del marito.

Con il secondo motivo la ricorrente deduce la violazione della l. n. 898 del 1970, art. 5. La Corte di appello avrebbe errato nel considerare esistente una convivenza di fatto fra la ricorrente e il C. , non essendo stato dimostrata l'effettiva progettualità comune che costituisce l'elemento costitutivo di una nuova famiglia.

L'esame del secondo motivo assume rilievo preliminare.

Tale censura è infondata.

Ed invero, la censura esposta nel secondo motivo in realtà, non individua un vizio in diritto della decisione impugnata, ma contesta la valutazione operata dalla Corte di merito in ordine agli elementi da questa ponderati al fine di ritenere sussistente la convivenza di fatto, ritenuta ostativa al riconoscimento dell'assegno di divorzio.

In effetti, la Corte di appello si è pienamente uniformata ai principi espressi da questa Corte in ordine all'esistenza di una convivenza di fatto, valorizzando l'esistenza di uno stabile rapporto di convivenza collegato anche al coinvolgimento nel progetto comune di figli della coppia - cfr., infatti, Cass., S.U. n. 32198 del 2012 ove si è chiarito che quanto al contenuto della prova della convivenza, in virtù del dovere di assistenza reciproca, anche materiale, che scaturisce dalla convivenza di fatto (in base alla L. n. 76 del 2016, art. 1, comma 37), deve ritenersi che il coniuge onerato dell'obbligo di corrispondere l'assegno possa limitarsi a provare l'altrui costituzione di una nuova formazione sociale familiare stabile, e che non sia onerato del fornire anche la prova (assai complessa da reperire, per chi è estraneo alla nuova formazione familiare) di una effettiva contribuzione, di ciascuno dei conviventi, al menage familiare, perché la stessa può presumersi, dovendo ricondursi e fondarsi sull'esistenza di obblighi di assistenza reciproci -. E nello stesso contesto le Sezioni Unite hanno aggiunto che ai fini del riconoscimento del carattere di stabilità della convivenza potrà farsi riferimento, come indica della L. n. 76 del 2016, art. 1, comma 37, alla dichiarazione anagrafica ivi indicata, se effettuata, o ad altri indici di stabilità in concreto (quali, a titolo esemplificativo, l'esistenza di figli della nuova coppia, la coabitazione, l'avere conti correnti in comune, la contribuzione al menage familiare).

Ora, non v'è dubbio che la Corte di appello si sia informata ai canoni sopra ricordati, valorizzando lo stabile legame fra la S. ed il "compagno" C. , sottolineando come quest'ultimo fosse - proprio per questo legame - divenuto un punto di riferimento per il minore G. , essendosi Egli occupandosi del minore, nel corso degli anni.

Al rigetto del secondo motivo non può che conseguire l'assorbimento del primo, poiché la ricorrente non ha impugnato la decisione della Corte di appello nella parte in cui ha ricondotto, all'esistenza della convivenza di fatto, l'esclusione dell'assegno di divorzio.

Il ricorso va quindi rigettato, con la condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Va dato atto ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato, in misura pari a quello previsto per il ricorso, ove dovuto, a norma dell'art. 1-bis dello stesso art. 13.

Si dispone l'oscuramento dei dati personali, in caso di pubblicazione del provvedimento.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali che liquida, in favore del C. , in Euro 3.000,00 per compensi, oltre Euro 200,00 per esborsi.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato, in misura pari a quello previsto per il ricorso, ove dovuto, a norma dell'art. 1-bis dello stesso art. 13.

Oscuramento dei dati personali, in caso di pubblicazione del provvedimento.
Avv. Antonino Sugamele

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