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Sentenza

Genitore sottrae il figlio minore di anni 14 alla madre, conducendolo e trattenendolo in Egitto, così impedendo alla predetta di esercitare la responsabilità genitoriale.
Genitore sottrae il figlio minore di anni 14 alla madre, conducendolo e trattenendolo in Egitto, così impedendo alla predetta di esercitare la responsabilità genitoriale.
Cass. pen. Sez. VI, Sent., (ud. 11-02-2020) 03-03-2020, n. 8615

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CALVANESE Ersilia - rel. Presidente -

Dott. AMOROSO Riccardo - Consigliere -

Dott. BASSI Alessandra - Consigliere -

Dott. COSTANTINI Antonio - Consigliere -

Dott. VIGNA Maria Sabina - Consigliere -

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

M.E., nato in (OMISSIS);

avverso la sentenza del 02/07/2019 della Corte di appello di Milano;

visti gli atti, il provvedimento denunziato e il ricorso;

udita la relazione svolta dal consigliere Ersilia Calvanese;

udite le richieste del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Angelillis Ciro, che ha concluso chiedendo che il rigetto del ricorso.
Svolgimento del processo

1. Con la sentenza in epigrafe indicata, la Corte di appello di Milano confermava la sentenza del Tribunale di Milano con la quale M.E. era stato dichiarato responsabile del reato di cui all'art. 574-bis c.p. e condannato alla pena ritenuta di giustizia.

All'imputato era stato contestato di aver sottratto il figlio minore di anni 14 alla madre, conducendolo e trattenendolo in Egitto, così impedendo alla predetta di esercitare la responsabilità genitoriale.

2. Avverso la suddetta sentenza ha proposto ricorso per cassazione l'imputato, denunciando, a mezzo di difensore, i motivi di seguito enunciati nei limiti di cui all'art. 173 disp. att. c.p.p..

2.1. Vizio di motivazione in relazione agli all'art. 603 c.p.p..

La Corte di appello ha respinto, in modo illogico, la richiesta di rinnovazione dell'istruttoria dibattimentale per l'esame del ricorrente ritenendo che quest'ultimo, in contatto con il suo legale, fosse stato in condizione di partecipare al giudizio di primo grado o comunque di rilasciare spontanee dichiarazioni in sede di giudizio di appello. Era invece necessario motivare sulla non necessità di tale atto probatorio.

La sentenza di primo grado era lacunosa e a tratti illogica là dove ravvisava la penale responsabilità dell'imputato per aver separato il bambino dalla madre (la donna invece ha affermato che era stata nel 2016 a trovare il figlio in Egitto).

In ogni caso il difensore era stato nominato di ufficio e aveva potuto sentire l'imputato solo una volta.

2.2. Vizio di motivazione in relazione agli artt. "192 e 574-bis c.p." (così si legge nel ricorso).

Vi era un accordo tra i genitori affinchè il minore poteva recarsi in Francia con il padre e non vi era divieto per il passaggio in territorio egiziano.

Manca il dolo e il trattenimento temporalmente sufficiente ad integrare il reato (l'imputato non ha mai negato alla madre del bambino di vedere e comunicare con lo stesso, tanto che nel 2011 la donna si era recata in Egitto per incontrarlo, e la stessa ben avrebbe potuto attivare le previste procedure per il rientro in patria del minore, che ha dato esito positivo con tale Stato in molti casi).

La motivazione è lacunosa in ordine a tale doglianza e quindi vi è una violazione palese "dell'art. 192 c.p." (così è scritto nel ricorso).

2.3. Vizio di motivazione in ordine all'art. 62-bis c.p..

Vi è violazione dell'art. 62-bis c.p. avendo la Corte di appello omesso di motivare sul punto, limitandosi ad una motivazione inesistente o apparente, a fronte dell'appello in cui si erano elencate le ragioni di meritevolezza.
Motivi della decisione

1. Il ricorso è inammissibile per le ragioni di seguito illustrate.

Il ricorrente non si confronta affatto con quanto affermato dalla Corte di appello circa la evidente "inconsistenza" dei motivi di appello, ai limiti della inammissibilità il gravame.

Pertanto, il controllo di legittimità sulla motivazione della sentenza impugnata va rapportato alla genericità dei motivi di appello.

2. E' palesemente infondata e generica la censura versata nel primo motivo di ricorso, con riferimento alla richiesta di rinnovazione della istruttoria dibattimentale.

In modo non censurabile la Corte di appello ha motivato sul punto, posto che non si trattava di prove nuove o di prove non acquisite dal giudice in primo grado.

La Corte di appello ha evidenziato infatti che l'imputato era in chiaro contatto con il difensore, avendo eletto presso di lui il domicilio e avendo manifestato al legale solo con l'appello la volontà di volersi discolpare.

Va rammentato che nella giurisprudenza della Suprema Corte si è già avuto modo di chiarire in tema di rinnovazione dell'istruzione dibattimentale in appello che "l'esame dell'imputato non assunto in primo grado può essere ammesso soltanto ove ritenuto necessario sulla base di specifiche esigenze, che è onere della parte instante indicare e documentare (Sez. 2, n. 37883 del 20/07/2017, Liuzzi, Rv. 271141; Sez. 2, n. 36365 del 07/05/2013, Braccini, Rv. 256875).

In tale prospettiva, il motivo è anche generico.

In ogni caso, alcuna violazione delle prerogative difensive si è realizzata, posto che, qualora non si sia proceduto all'esame dell'imputato, che aveva formulato espressa richiesta, l'imputato poteva chiedere in ogni momento di rendere dichiarazioni (Sez. 6, n. 42442 del 20/10/2003, Del Sorbo, Rv. 226928; Sez. 2, n. 23186 del 02/05/2019, Alvarez, Rv. 275785).

3. In ordine al secondo motivo va richiamato quanto sopra illustrato in merito alla valutazione della Corte di appello sulla consistenza dei motivi di appello.

Pertanto, aspecifiche sono le doglianze di omessa valutazione delle censure di appello.

In ogni caso anche in questa sede il ricorrente avanza censure generiche, del tutto infondate e sostenute da non consentite incursioni nel merito, quanto alla sussistenza del fatto e del dolo.

Era stato accertato invero che dal 2011 al 2016 il bambino, portato dall'imputato in Egitto senza il consenso della madre, non aveva potuto più incontrare la stessa.

La Corte di appello in ordine alla credibilità del narrato della donna ha rilevato che il trasferimento definitivo del bambino in Egitto era un dato inconfutabile e che la difesa aveva soltanto in modo generico dubitato della credibilità della predetta, posto che dall'Egitto il bambino non era più rientrato in Italia (dato non smentito neppure in sede di appello).

E' appena il caso di rammentare che il reato previsto dall'art. 574-bis c.p. consiste nella condotta del genitore che porti con sè all'estero il figlio minore senza il consenso del coniuge, impedendo a quest'ultimo l'esercizio delle prerogative genitoriali, anche qualora il trattenimento all'estero sia di breve periodo (Sez. 6, n. 31927 del 19/06/2019, S, Rv. 276471).

Invero, una volta fissata in Italia la residenza del minore, tale residenza non può essere unilateralmente modificata dal genitore, posto che tale radicamento è posto a tutela, oltre che della relazione con i genitori, del superiore interesse del minore stesso.

Come già affermato da questa Corte in relazione alla fattispecie di reato in esame (Sez. 6, n. 8660 del 11/12/2018, dep. 2019, P, Rv. 275086), la residenza abituale è invero il luogo in cui il minore, in virtù di una durevole e stabile permanenza ha consolidato, consolida, ovvero, in caso di recente trasferimento, possa consolidare una rete di affetti e relazioni tali da assicurargli un armonico sviluppo psicofisico (Sez. 1 civ., n. 30123 del 14/12/2017, Rv. 646487).

4. Va ribadito anche per l'ultimo motivo sulle circostanze attenuanti generiche quanto evidenziato in premessa sulla inconsistenza dei motivi di appello, anche in tal caso richiamati dal ricorrente in modo aspecifico.

E' sufficiente rilevare che la motivazione della sentenza impugnata sul punto è del tutto adeguata, avendo la Corte di appello richiamato la gravità della condotta, alla luce del tempo in cui il minore è stato trattenuto indebitamente in Egitto.

E' principio più volte affermato da questa Corte che non è necessario che il giudice di merito, nel motivare il diniego della concessione delle attenuanti generiche, prenda in considerazione tutti gli elementi favorevoli o sfavorevoli dedotti dalle parti o rilevabili dagli atti, ma è sufficiente che egli faccia riferimento a quelli ritenuti decisivi o comunque rilevanti, rimanendo disattesi o superati tutti gli altri da tale valutazione (Sez. 2, n. 3609 del 18/1/2011, Sermone, Rv. 249163; Sez. 6, n. 34364 del 16/6/2010, Giovane, Rv. 248244).

5. Alla stregua di tali rilievi il ricorso deve essere dichiarato inammissibile.

Il ricorrente deve, pertanto, essere condannato, ai sensi dell'art. 616 c.p.p., al pagamento delle spese del procedimento.

In virtù delle statuizioni della sentenza della Corte costituzionale del 13 giugno 2000, n. 186, e considerato che non vi è ragione di ritenere che il ricorso sia stato presentato senza "versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità", deve, altresì, disporsi che il ricorrente versi la somma, determinata in via equitativa, di duemila Euro, in favore della Cassa delle Ammende.
P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 2.000 in favore della Cassa delle Ammende.

Così deciso in Roma, il 11 febbraio 2020.

Depositato in Cancelleria il 3 marzo 2020
Avv. Antonino Sugamele

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